Kiev muove le truppe dell’armata fantasma
KIEV — Il carburante. Quanto può resistere un esercito se non può rifornire i camion, i blindati, gli aerei? Quello ucraino, con le riserve attuali, solo qualche settimana, forse meno. È questa, al di là degli annunci e delle dichiarazioni, la preoccupazione numero uno dello Stato maggiore di Kiev. Un incubo che ricorda la controffensiva tedesca delle Ardenne (1944). Carri armati senza benzina, bloccati nel nulla: resa inevitabile al nemico. Da qualche giorno si sono moltiplicati i contatti informali tra il governo di Kiev e quello di Varsavia. Ufficialmente il ministero degli Esteri ucraino Andriy Deschytsya chiede alla Nato «attrezzature militari di tipo tecnico» non ben precisato. Ma i dirigenti politici della nuova Ucraina hanno ormai capito quanto Vladimir Putin sia capace di dividere l’Occidente e quindi ritardarne, attenuarne le reazioni. Si parla con la Nato, quindi, ma si conta su quelli che a Kiev chiamano i «nostri alleati», intendendo la Polonia, la Lituania e solo in seconda battuta, come un’eco lontana, la Germania o la Francia.
L’esecutivo ucraino vive un senso di forte urgenza, che non significa necessariamente il pericolo imminente di una guerra con la Russia. Più semplicemente vuol dire mostrare a Mosca e al mondo che il Paese è fermo nella difesa del nuovo corso. Provando, in questo modo, a spingere i russi verso un vero negoziato e non solo sulla Crimea. Così il parlamento ratifica l’ordine del capo di Stato Oleksandr Turchinov e richiama in servizio 40 mila cittadini, cominciando con i più freschi d’addestramento. Andranno a raggiungere i 163 mila commilitoni già in forza all’esercito e alla Guardia nazionale. Il ministro della Difesa Igor Tenyukh compare in divisa nella sala delle conferenze stampa per annunciare che «l’Ucraina è pronta a difendersi, grazie ai nuovi fondi». Il parlamento ha stanziato circa 530 milioni di euro per il riarmo. Il costo si scaricherà sulla collettività già duramente provata, con il taglio di sovvenzioni e servizi sociali. Nessuna informazione, invece, sui movimenti delle truppe nell’interno del Paese. Il ministro della Difesa glissa sull’argomento, anche se non è difficile ricostruire le manovre in corso. Il Comando sta organizzando un anello di protezione della capitale rivolto verso nord-est, direzione Russia. Nello stesso tempo si sta rafforzando la vigilanza sul confine appena sopra le due città più inquiete dell’est: Kharkiv e Donetsk. Ma le forze armate non entreranno nei due centri per prevenire altri scontri tra filo russi e pro Kiev. L’ordine pubblico sarà ancora affidato alla polizia: i rinforzi dovrebbero essere in arrivo.
Sulla carta «la force de frappe», la capacità di colpire degli ucraini è ancora temibile. Negli anni dell’Urss, la terra di Nikita Krusciov e Leonid Breznev costituiva uno snodo strategico per l’apparato militare sovietico. La base di Sebastopoli in Crimea è solo un frammento di quello che era un Paese-arsenale, dotato di testate nucleari e di 780 mila soldati, 6.500 carri armati, 1.500 aerei da combattimento. Oggi, smantellato l’armamento atomico e dopo 23 anni di pacifica indipendenza, quei numeri si sono logicamente ridimensionati: 163 mila divise (compresa la Guardia nazionale); 4.112 cingolati; 400 aerei. In quali condizioni di efficienza? Secondo un recente studio condotto da Pietro Batacchi, direttore della Rivista italiana difesa, «il grosso degli equipaggiamenti dell’esercito è ancora incentrato su materiale di derivazione sovietica». Ciò comporta problemi costanti di manutenzione e di ammodernamento («upgrade») difficili da valutare. L’aviazione sembra messa peggio, anche se può schierare circa 400 velivoli. «La punta di lancia», scrive Batacchi, è formata da 30-40 Su-27, «non tutti operativi nonostante spetti loro monitorare lo spazio aereo» e da un’ottantina di Mig-29 di cui solo la metà sarebbe in grado di volare da subito.
«Siamo molto motivati e saremo pronti a qualunque compito, sulla base delle decisioni politiche», dice invece il ministro della Difesa, l’ammiraglio Igor Tenyukh. Aspettando la benzina polacca. Sperando che alla fine non serva.
Giuseppe Sarcina
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