Giovani senza lavoro, livello record Nella crisi perso un milione di posti

Giovani senza lavoro, livello record Nella crisi perso un milione di posti

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Roberto Bagnoli, Corriere della Sera

ROMA — Aumenta la disoccupazione e cala l’inflazione allo 0,5%. L’onda lunga della crisi colpisce duro e il 2013 verrà archiviato come il peggiore dal 1977, degli ultimi 36 anni. In dodici mesi i senza lavoro sono aumentati di quasi mezzo milione arrivando a toccare la cifra record di 3,2 milioni. Un milione da quando (2008) è scoppiata la crisi. In percentuale a gennaio il tasso ha toccato quota 12,9% aumentando dello 0,2% rispetto a dicembre. Sempre più drammatici i dati sui giovani under 24, tolti coloro che studiano: quelli licenziati e che cercano un impiego sono il 42,4%, quasi uno su due. «Una cifra allucinante — commenta il presidente del Consiglio Matteo Renzi usando Twitter —, ecco perché il primo provvedimento sarà il Jobs Act». Anche il neo ministro del Lavoro Giuliano Poletti lo segue su questo schema invocando al più presto «promozione degli investimenti, calo del cuneo fiscale, efficienza del mercato del lavoro con nuovo sistema di ammortizzatori sociali». E se l’ex ministro del Lavoro Pdl Maurizio Sacconi (ora Ncd) chiede nuove regole per le assunzioni, l’ex viceministro all’Economia Stefano Fassina, uscito dal governo Letta proprio in polemica con Renzi, apre un fronte interno al Pd contestando la validità teorica del Jobs Act: «Se significa intervenire per l’ennesima volta sulle regole del lavoro è inutile, basta con la stagione liberista, occorrono investimenti pubblici e redditi più alti per aumentare la domanda».
Un tema di non poco conto che, a dire il vero, e presente nel programma del premier, ma il problema sarà definire priorità e proporzione nelle scelte di sostegno. Anche il leader Cgil Susanna Camusso condivide l’impostazione di Fassina e si augura «l’adozione di politiche diverse dall’austerità, bisogna invertire la tendenza, il 2014 può essere l’anno della svolta». I brutti dati sul mercato del lavoro (con una disoccupazione record concentrata come al solito nel Sud) e l’inflazione quasi dimezzata in soli cinque mesi (passata da 0,9% di settembre a 0,5% di febbraio) facendo aumentare il rischio deflazione, raccontano la difficile fase in cui si sta muovendo il Paese. Ammesso che la ripresina sia in corso, prevalgono le drammatiche cifre del disagio sociale, così forti che si dovrà attendere almeno un anno per aspettare un reale miglioramento. Se dal Fondo monetario internazionale l’altro giorno è arrivato un riconoscimento degli sforzi fatti dall’Italia (la miglior riforma delle pensioni d’Europa e un ferreo controllo del 3%) ora occorre al più presto passare alla fase sviluppista. L’ex ministro delle Infrastrutture ed ex banchiere Corrado Passera, alla testa del neo movimento politico Italia Unica, ha alzato il livello degli interventi da fare e invita a «smetterla con i piccoli passi, mobilitiamo almeno 300 o 400 miliardi di euro perché l’Italia altrimenti non la cambiamo più».
Le cifre della disoccupazione non sono una doccia fredda. Sono state ampiamente previste dalle ultime proiezioni della Confindustria. Istat sottolinea che, dopo il forte calo del 2012 la popolazione inattiva tra i 15 e i 64 anni torna a crescere dello 0,3% per colpa dello «scoraggiamento e per motivi di studio».
Il costo della vita, poi, continua a scendere. Mentre ieri Eurostat ha certificato per eurolandia una inflazione allo 0,8%, in Italia si è assestata allo 0,5%. La Confcommercio ha sollevato il concreto rischio di deflazione per «colpa soprattutto dell’ormai insostenibile carico fiscale su famiglie e imprese». Teoria che non convince i consumatori di Codacons che, invece, legano il calo alla riduzione dei prezzi dei carburanti e invitano il governo a fermare il nuovo rincaro delle accise previsto da oggi. In questo scenario, per la verità non nuovo, l’euro vola al nuovo record contro il dollaro superando quota 1,38 sull’onda di una inflazione media (0,8%) superiore alle stime (0,7%). L’ufficio studi di Nomisma spiega che «in Europa ci vorrebbe più inflazione, siamo infatti ben lontani dal target di Maastricht del 2%». Una crescita dunque controllata del costo della vita, questa è l’opinione di molti economisti non vicini alla Germania, sarebbe la benzina ideale per favorire la crescita.



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