Il Friuli e il peso della lobby territoriale
Giovedi 27 il ministro dell’Economia Piercarlo Padoan ha ricevuto il governatore del Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani e alla fine ha emesso un comunicato ufficiale, seppur di sole tre righe. Un rituale inconsueto per un incontro di ordinaria amministrazione. È evidente però come Serracchiani anche in virtù della carica di vicesegretario del Pd stia testando la sua leadership. E sul territorio contano molto sull’offensiva romana di Debora per sciogliere alcuni vincoli che attanagliano la Regione. Il guaio è che la Grande Crisi sembra aver colpito di più il Friuli rispetto alle zone limitrofe, anzi come spiega il vicepresidente e assessore alle Attività produttive, Sergio Bolzonello, «si è manifestata più tardi ma si sta dimostrando più cruda». Il caso Electrolux con il rischio di chiusura dello stabilimento friulano di Porcia è l’esempio-limite ma anche l’economia distrettuale, che in altrove miete successi nell’export, qui segna il passo.
Al ministero Serracchiani ha discusso di finanza locale e di compensazioni Roma-Trieste. In virtù di un patto tra l’ex ministro Giulio Tremonti e l’allora governatore Renzo Tondo il Friuli nel 2010 cedette allo Stato imposte per 370 milioni, una misura che è diventata strutturale e che Debora non ha nessuna intenzione di avallare sine die. Anche per quanto riguarda la terza corsia della autostrada che collega Venezia a Trieste c’è un nodo da sciogliere a Roma e riguarda gli investimenti che la concessionaria Autovie Venete di proprietà pubblica dovrebbe fare e non può permettersi. Siccome si tratta di un’arteria che collega l’Italia ai Paesi dell’Est, a Trieste sostengono che lo Stato dovrebbe partecipare alla spesa visto che serve a far marciare i tir dell’export del Nord. Padoan ha preso nota di tutto e quantomeno metterà al lavoro i tecnici del ministero. Poi chi vivrà vedrà.
Da Roma il Friuli aspetta risposte anche in merito alla vicenda Electrolux. È fissato un incontro per il 7 aprile ed è difficile che possa rivelarsi risolutivo. Il governo ha detto sì alla decontribuzione dei contratti di solidarietà richiesta sia dall’azienda sia dal leader della Fiom Maurizio Landini. Ma lo stanziamento di 15 milioni, una tantum e non certo solo per Pordenone, non autorizza grandi illusioni: l’effetto sul costo del lavoro orario sarà solo una porzione (da 60 centesimi a 1,2) di quei 3 euro di risparmio che gli svedesi chiedono per tenere aperti gli stabilimenti del Nord-Est italiano. Serracchiani per difendere Porcia non ha esitato a chiedere le dimissioni dell’ex ministro Flavio Zanonato, suo compagno di partito, e teme la chiusura dell’impianto per i 1.300 posti di lavoro che mancherebbero e perché l’ex Zanussi è il simbolo della tradizione industriale friulana. Per questo ha promesso di intervenire con soldi della Regione per tagliare l’Irap e aspetta che il ministero dello Sviluppo economico stipuli con l’Electrolux un accordo di finanziamento della ricerca come ha già fatto con l’Indesit. Ma tutti e i tre tasselli — decontribuzione, sconto Irap e soldi per la ricerca — non sono ancora sufficienti e gli svedesi lo fanno sapere in giro. Serve ancora un intervento deciso sul costo del lavoro: i sindacati non accettano tagli ai salari o di rinunciare al contratto integrativo e sono disponibili solo a discutere di produttività. Come evitare allora il negoziato naufraghi? Le voci di questi giorni parlano di sterilizzare la contrattazione futura e usare il contratto integrativo in assorbimento di quello nazionale per un congruo periodo di anni. In cambio l’azienda potrebbe scendere dalla richiesta di tagliare 3 euro l’ora forse anche a quota 2. Come si può intuire la quadratura del cerchio non è semplice e c’è il timore di prendere solo delle misure-tampone destinate a durare un anno o poco più. L’epicentro di questo scontro è sempre Porcia e anche per questo in Friuli pensano che avere Debora a Roma possa supplire alla mancanza di un ministro o di un sottosegretario friulano.
Sta nascendo, dunque, un modello nuovo di lobby territoriale che passa attraverso la conquista di caselle-chiave negli organigrammi del maggiore partito come ai tempi della Dc? In Friuli più di qualcuno lo spera e c’è anche chi lo teorizza ma sono anche numerosi gli scettici che temono che Serracchiani alla fine subisca una forte attrazione per la politica romana («nei talk show non parla del Friuli») e quindi che il ruolo di vicesegretario del Pd alla fine prevalga su quello di governatore. In più le élite locali sanno che quando si parlerà di riforma del Titolo V della Costituzione si dovrà aprire il delicato tema delle Regioni a Statuto speciale. La cortina di ferro non c’è più ma la rendita di posizione friulana e giuliana sì, fino a quando si riuscirà a non far esplodere questa contraddizione? E se un giorno non lontano Matteo Renzi dovesse porre il tema, come si comporterà Serracchiani?
In Regione del resto i tavoli di crisi sono una trentina e venerdì scorso se ne è aperto un altro con i finlandesi della Grandi Motori Wartsila di Trieste. Esclusa la Electrolux le aziende in crisi pesano per altri 3.400 posti di lavoro in pericolo, distribuiti in tutto il territorio: 1.200 a testa per Udine e Pordenone, 700 a Trieste e 300 nell’Isontino. Il caso eclatante è quello dell’Ideal Standard la cui soluzione sembra lontanissima ma è tutto la filiera della casa che rischia di andare a ramengo coinvolgendo elettrodomestici, mobili (il distretto di Livenza) e sedie (Manzano). Così mentre i vicini veneti sognano l’indipendenza e si lamentano di non avere lo Statuto speciale, i friulani invidiano l’innovazione e le reti lunghe dei cugini. L’imprenditoria veneta appare più vitale e più capace di internazionalizzarsi, le reti friulane sono troppo corte e se non fosse per la tenuta di grandi aziende come Fincantieri e Danieli saremmo all’anno zero. Per capire la dialettica tra localismo e innovazione basta ricordare il caso delle Latterie Friulane, una cooperativa entrata nel mirino dei bolognesi della Granarolo. Le resistenze locali sono state fortissime e per un periodo hanno anche portato fuori strada la Regione, poi è subentrato il pragmatismo di allevatori e dipendenti che hanno votato a favore dell’integrazione. Così almeno il formaggio Montasio potrà giocarsela sui mercati mondiali.
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