La Francia di Le Pen. La scossa populista
Come in altri momenti cruciali della storia recente, le nubi nere per l’Europa arrivano ancora dalla Francia. Il successo del Fronte Nazionale di Marine Le Pen al primo turno delle elezioni amministrative, al di là di risultati città per città e battaglie localistiche, è un messaggio di esasperazione populista, di rigetto della politica, di paura dell’Europa, rafforzato da un astensionismo record. Se quasi quattro cittadini su dieci decidono di non partecipare all’elezione del proprio sindaco, significa che la malattia transalpina è grave e che il contagio — già così diffuso nelle società europee — potrebbe estendersi.
A poche settimane dalle elezioni continentali, sarà complicato contenere — in Francia e in Europa — l’effetto emozionale e mediatico che sale dalle municipalità francesi. Il binomio astensionismo-populismo complica pesantemente il quadro politico nazionale, disgrega il tradizionale bipolarismo destra-sinistra, radicalizza il confronto fra i maggiori partiti e rischia di snaturare le basi ideali e culturali della destra gollista, con conseguenze drammatiche sulla politica del Paese e quindi sul rapporto di Parigi con l’Unione Europea.
È possibile che al secondo turno di domenica prossima i francesi correggano i risultati del primo e che, alla fine, per effetto di triangolari e alleanze, il Fronte Nazionale non conquisti un grande numero di municipalità. Ma questo non modificherà il corso di una dinamica sociale che si è stabilmente estesa a tutto il territorio, seducendo giovani e disoccupati, strati popolari, ceti borghesi e periferie. È inimmaginabile che i partiti tradizionali trovino in fretta i rimedi, ingaggiando una corsa contro il tempo e — in definitiva — contro sé stessi: contro i riti della politica, le posizioni di potere, gli apparati, l’elitismo paralizzante. I francesi hanno anche punito il governo socialista e il presidente Hollande, al minimo storico del consenso proprio nel momento in cui dovrebbe imboccare la strada di riforme radicali e per forza di cose impopolari. Ma i francesi non hanno nemmeno regalato troppe speranze alla destra gollista, prigioniera di divisioni e rivalità interne e costretta a fare i conti con l’erosione del proprio elettorato a vantaggio del Fronte.
Che piaccia o preoccupi, la bionda Marine ha compiuto il capolavoro politico che non era riuscito a suo padre. Ha svecchiato la gerarchia del partito, ha attenuato l’armamentario xenofobo e razzista e ha cavalcato le inquietudini dei cittadini di fronte a un’Europa lontana, irriconoscibile rispetto agli ideali per cui è stata concepita. Un sogno diventato un insieme di regole vicino al naufragio. Marine è riuscita, come altri capipopolo europei, a sfuggire all’esorcismo inutile di quanti si ostinano a definire populismo ed «eurofobia» le domande di sicurezza, di giustizia fiscale, di difesa delle identità nazionali, di sviluppo e lavoro. E a predicare nel deserto sociale il verbo dell’austerità e la legge dello spread.
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