F-35, un primo passo
La mobilitazione di questi anni contro gli F-35 non era ideologica e preconcetta. Le ragioni stavano dalla parte dei pacifisti. Gli F-35 erano e sono una scelta sbagliata, costosa e alla quale si potrebbe rinunciare. Questo il senso — esposto in modo ancora prudente e dubitativo — di un documento dei deputati del Pd della commissione Difesa e che verrà presentato come risoluzione in una delle prossime riunioni della commissione. Un testo che prima dovrà avere il via libera del gruppo parlamentare del Pd e poi della maggioranza di governo. Il documento non chiede l’azzeramento del programma ma semplicemente una sospensione delle nuove contrattualizzazioni di altri F-35 in attesa di chiarire aspetti tecnici, costi e performance di questo cacciabombardiere.
Questo orientamento arriva dopo molti mesi di lavoro dell’indagine conoscitiva sugli F-35 e sugli altri sistemi d’arma avviata dalla mozione approvata alla camera a fine giugno che chiedeva una sospensione temporanea del programma, in attesa di chiarire tutti gli aspetti tecnici e di spesa.
In sostanza, potrebbe voler dire una sospensione per altri mesi in attesa di soluzioni definitive come una riduzione (c’è chi dice dimezzamento) del numero di F-35, oppure la rinuncia a quelli a decollo verticale per la portaerei Cavour, oppure un riadattamento e rilancio dell’Eurofighter in sostituzione o a completamento dell’aereo americano. Il Consiglio Supremo di difesa ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco (solo mascherato dalla prospettiva di una maggiore integrazione della difesa comune europea) e a questo punto l’ipotesi di una riduzione è nelle cose.
Se a questo si aggiunge l’ipotesi fatta da Cottarelli nella spending review di una riduzione di 4,3 miliardi delle spese militari nei prossimi 3 anni (riduzione tutta da verificare, soprattutto se una parte dei risparmi sarà comunque reinvestita nella Difesa) il quadro si fa naturalmente importante e significativo.
Si tratta ora di vedere quale sarà effettivamente la proposta che sarà formalizzata. Entro un mese — tra risoluzione in commissione Difesa e mozione da presentare poi in aula, alla camera — capiremo se alle buone intenzioni seguiranno i fatti.
Qualcuno poi dovrà dirci cosa è cambiato rispetto a pochi mesi fa: il governo naturalmente, si dirà. Ma non la consapevolezza della fallacia, della cattiva performance e della sostanziale inutilità di questi cacciabombardieri. Solo pochi mesi fa il ministro della Difesa di un governo che aveva la stessa maggioranza di quello attuale diceva che gli F35 erano uno «strumento di pace» e che erano demagogici quelli che dicevano che con i soldi degli F35 si sarebbero potuto mettere in sicurezza le scuole. Proprio quello che probabilmente potrebbe essere fatto nei prossimi mesi.
È presto però per cantare vittoria. Magari alla fine la riduzione potrebbe essere minima e prolungata nel tempo. Ma si è aperto un varco importante: quello per il quale campagne come Sbilanciamoci e la Rete disarmo — e tanti altri, tra cui questo giornale — hanno lavorato in questi anni. La tenacia e l’impegno di tanti pacifisti stanno pagando, ma occorre — proprio ora — continuare la mobilitazione per l’azzeramento definitivo del programma. È quello che — contro ogni ogni logica del rinvio delle decisioni — chiederanno nelle prossime settimane un gruppo di deputati pacifisti in una mozione che impegna il governo allo stop definitivo. Sarebbe una decisione di buon senso e che libererebbe tante risorse nei prossimi anni, per il lavoro e per uscire dalla crisi.
* deputato di Sel
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