Don Ciotti al papa: anche la Chiesa ha colpe

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Ascol­tando il lungo elenco dei nomi delle donne e degli uomini uccisi dalle mafie che è stato letto ieri pome­rig­gio durante la veglia in memo­ria delle vit­time pro­mossa dall’associazione Libera e a cui ha par­te­ci­pato anche papa Fran­ce­sco – che ha rin­no­vato l’appello di Woj­tyla ai mafiosi nella valle tem­pli di Agri­gento nel mag­gio 1993: «Con­ver­ti­tevi!» – si ha l’impressione di attra­ver­sare un pezzo oscuro della sto­ria d’Italia.

C’è Ema­nuele Notar­bar­tolo, poli­tico paler­mi­tano ucciso nel 1893, il primo delitto «eccel­lente» di mafia, quando c’era ancora il Regno d’Italia e già i primi scan­dali ban­cari. Poi Pla­cido Riz­zotto, il sin­da­ca­li­sta della Cgil ammaz­zato a Cor­leone nel 1948, sul cui omi­ci­dio indagò anche un gio­va­nis­simo Carlo Alberto Dalla Chiesa, desti­nato ad essere ucciso anche lui, insieme alla moglie, quando era pre­fetto di Palermo, nel 1982. Pep­pino Impa­stato e Radio Aut, dai cui micro­foni il gio­vane miliante di Demo­cra­zia pro­le­ta­ria denun­ciava gli affari di Tano Bada­la­menti, dei mafiosi e dei demo­cri­stiani di Cinisi. Gior­gio Ambro­soli e i misteri del Banco Ambro­siano e dello Ior. Poi Fal­cone, Bor­sel­lino, e tanti altri, fino ad Angelo Vas­sallo, il sin­daco di Pol­lica ammaz­zato 4 anni fa e su cui la magi­stra­tura ancora sta indagando.

Ber­go­glio prende la parola subito dopo aver ascol­tato gli 842 nomi letti da alcuni dei fami­gliari delle vit­time, ma anche da Tareke Brhane, rifu­giato e media­tore cul­tu­rale a Lam­pe­dusa, e dall’ex pro­cu­ra­tore gene­rale di Torino Gian­carlo Caselli, che chiude l’elenco. «Cam­biate vita, fer­ma­tevi di fare il male, con­ver­ti­tevi per non finire all’inferno», dice il papa nel suo breve discorso, rivol­gen­dosi «agli uomini e alle donne delle mafie». «Il potere e il denaro che avete è frutto di affari spor­chi e cri­mini, è insan­gui­nato». E ai fami­liari delle vit­time: «Voglio con­di­vi­dere con voi la spe­ranza che il senso di respon­sa­bi­lità piano piano vinca sulla cor­ru­zione, deve par­tire dalle coscienze e risa­nare le rela­zioni, le scelte, il tes­suto sociale cosic­ché la giu­sti­zia prenda il posto dell’iniquità».

Nella chiesa di San Gre­go­rio VII, a due passi dal Vati­cano, i fami­liari delle vit­time inno­centi uccise dalle mafie sono 900, insieme ai ragazzi di Libera, al pre­si­dente del Senato Pie­tro Grasso, alla pre­si­dente della Com­mis­sione anti­ma­fia Rosy Bindi e al pro­cu­ra­tore nazio­nale anti­ma­fia Franco Roberti. La chiesa è piena, ci sono anziani che hanno perso figlie e figli, ci sono i gio­vani e anche qual­che bam­bino che hanno avuto le loro madri e i loro padri uccisi. Volti cono­sciuti, come quello di Maria Fal­cone – la sorella del magi­strato fatto sal­tare in aria insieme alla moglie Fran­ce­sca Mor­villo e agli uomini della scorta –, i fra­telli di don Puglisi e don Diana, il figlio di Pio La Torre. E poi tante sto­rie meno note ma ugual­mente dram­ma­ti­che, come quella del cro­to­nese Gio­vanni Gabriele, il padre di Dome­nico, morto il 20 set­tem­bre 2009, dopo 85 giorni di coma, col­pito insieme ad altri ragazzi, men­tre gio­ca­vano a cal­cio, dai kil­ler della ‘ndran­gheta che erano andati lì per ucci­dere Gabriele Mar­razzo. Da qual­che anno Gio­vanni Gabriele gira l’Italia ed entra nelle scuole a par­lare di lega­lità e di giu­sti­zia agli ado­le­scenti. E par­te­cipa alla Gior­nata della memo­ria e dell’impegno in ricordo delle vit­time delle mafie pro­mossa da Libera e da Avviso pub­blico, «per­ché è impor­tante tenere viva la memo­ria», ci dice prima di entrare in chiesa. Oggi, insieme agli altri 900 fami­liari, sarà a Latina per le mani­fe­sta­zioni della Gior­nata e sfi­lerà per le strade del capo­luogo pon­tino con la foto di suo figlio appesa al collo, come face­vano e fanno le madres dei desa­pa­re­ci­dos argentini.

«Le per­sone che sono qui hanno sto­rie e rife­ri­menti diversi. Ma sono acco­mu­nate dal biso­gno di verità e di giu­sti­zia, un biso­gno che per molti è ancora vivo e lace­rante», dice don Ciotti durante il suo inter­vento in cui ricorda non solo i morti di mafia. «Vogliamo ricor­dare anche le vit­time del lavoro, per­ché un lavoro non tute­lato, svolto senza le neces­sa­rie garan­zie di sicu­rezza, è una vio­la­zione della dignità umana. E così pure le vit­time degli affari spor­chi delle mafie. Le per­sone col­pite da tumori in ter­ri­tori avve­le­nati dai rifiuti tos­sici. Quelle che hanno perso la vita per l’uso delle dro­ghe spac­ciate dai mer­canti di morte. Le migliaia d’immigrati anne­gati nei mari o caduti nei deserti. Le donne e le ragazze vit­time della tratta e della pro­sti­tu­zione». Ma «il pro­blema delle mafie non è un pro­blema solo cri­mi­nale. Se così fosse, baste­reb­bero le forze di poli­zia, baste­rebbe la magi­stra­tura – aggiunge –. È un pro­blema sociale e cul­tu­rale, che chiama in causa respon­sa­bi­lità pub­bli­che, spesso dege­ne­rate in poteri pri­vati, e respon­sa­bi­lità sociali accan­to­nate in nome dell’individualismo». Allora ser­vono «poli­ti­che sociali, posti di lavoro, inve­sti­menti sulla scuola» e soprat­tutto «una poli­tica che torni a essere ser­vi­zio del bene comune».
Anche la Chiesa ha delle respon­sa­bi­lità, lo dice don Ciotti. «In pas­sato, e pur­troppo ancora oggi, non sem­pre la Chiesa ha mostrato atten­zione a un pro­blema di così enormi risvolti umani e sociali. Silenzi, resi­stenze, sot­to­va­lu­ta­zioni, eccessi di pru­denza, parole di cir­co­stanza». Ma anche nume­rosi esempi e testi­mo­nianza posi­tive, come quella don Peppe Diana, par­roco di Casal di Prin­cipe, ucciso dalla camorra 20 anni fa, il 19 marzo 1994. E la sua stola viene rega­lata da don Ciotti a Bergoglio.

Oggi la Gior­nata con­ti­nua con la mani­fe­sta­zione a Latina, dove sono attese 50mila per­sone da tutta Italia.


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