In difesa della civiltà
QUELLO di ieri sarà ricordato come un 8 marzo tragico. Tre donne, Assunta, Ofelia e Silvana, sono morte: uccise dal compagno o dal marito.
TRE femminicidi da aggiungere alla lista nera di questi ultimi anni, nonostante le leggi e i decreti. E allora la giornata internazionale della donna che spesso viviamo con obbligo e stanchezza (nonostante le lotte e le conquiste femminili) diventa quello che era: una difesa della civiltà, un modo per attirare lo sguardo sulle reali condizioni di vita delle donne in Italia.
Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, l’ha spiegato ieri mattina al Quirinale durante la celebrazione della festa, ricordando come la violenza contro le donne sia «una tragedia che colpisce i sentimenti dell’intera nazione ». Finché non si sconfiggeranno il sessismo e le violenze, non si sarà fatto “abbastanza” per le donne. Finché gli uomini continueranno ad ucciderle per gelosia o per vigliaccheria, l’Italia non potrà smettere di essere a lutto. Ieri abbiamo vissuto le due facce dell’Italia: da un lato la barbarie e dall’altro le persone, vere, che contro la barbarie provano a lottare. Ecco perché le donne che sono state insignite delle onorificenze dell’Ordine del Merito sono delle “donne della realtà”. Come Lucia Annibali, l’avvocato di Pesaro sfigurata con l’acido che mostra il suo viso. Come Franca Viola, che ha avuto il coraggio di rifiutare un “matrimonio riparatore”. Donne che forse non tutti conoscono, ma che contribuiscono, giorno dopo giorno, all’integrazione di chi è ai margini della società, alla battaglia per un accesso paritario all’istruzione e al lavoro, alla lotta contro le violenze di genere. E che, soprattutto, mostrano quanto sia necessario battersi per le donne, per la loro dignità, per la loro stessa vita.
Il senso dell’8 marzo di quest’anno è tutto qui ed è il senso del nostro paradosso. Feste e cerimonie, esempi e riconoscimenti, lutto e dolore. Come se la cronaca continuasse inevitabilmente a contraddire le parole. Come se, nonostante gli sforzi che vengono quotidianamente fatti da tante donne per essere riconosciute, rispettate, valorizzate e ricompensate, la realtà continuasse a dire loro che non è vero, che la vita di una donna non ha valore, che la violenza trionfa.
Con un paradosso supplementare. Perché quest’anno, proprio in questi giorni, succede anche altro. In Parlamento si discute dell’alternanza di genere nelle liste elettorali. L’ennesima occasione, per alcuni, di ribadire il rischio che si correrebbe attraverso le “quote rosa” di non valorizzare le competenze, e di preferire la “quantità” alla “qualità”. C’è persino chi insinua che, attraverso l’alternanza di genere, verrebbero premiate soprattutto “le donne più docili”. Peccato che di docilità, tra le elette, ce ne sia ben poca e che Mara Carfagna o Stefania Prestigiacomo, a differenza di alcuni uomini che confondono la lealtà con l’obbedienza, scelgano di portare avanti una posizione non condivisa dal proprio leader.
Nonostante il silenzio assordante di chi, anche grazie alla retorica della parità, occupa oggi posizioni di rilievo, i femminicidi di questo 8 marzo obbligano la politica ad assumersi fino in fondo le proprie responsabilità. Al di là di ogni tatticismo, si tratta di permettere alle donne di riappropriarsi della battaglia sui diritti e di riconoscersi anche come “comunità”. Guardate la foto delle ragazze del Quirinale, ragazze normali ed eccezionali. Loro sono una comunità: la nostra. Per fortuna.
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