Dai mercati attacco a Mosca

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Matteo Tacconi,

La Rus­sia con­ti­nua a por­tare avanti il suo piano: seg­men­tare l’Ucraina, aumen­tare le ten­sioni regio­nali, impe­dire che il paese si col­lo­chi nell’area di influenza occi­den­tale e negare legit­ti­mità ai nuovi poteri di Kiev, la cui figura più cari­sma­tica, Yulia Tymo­shenko, avrebbe dovuto recarsi ieri a Mosca. La mis­sione, annun­ciata nei giorni scorsi, s’è rive­lata una bufala. D’altronde, nell’ottica russa, il pos­si­bile nego­ziato scac­cia­crisi con la Tymo­shenko, che non ha e né forse avrà cari­che, ma in com­penso ha piaz­zato i suoi più fedeli scu­dieri nei posti chiave (Olek­sandr Tur­chy­nov è il pre­si­dente prov­vi­so­rio e Arse­niy Yatse­niuk l’attuale primo mini­stro), avrebbe signi­fi­cato rico­no­scere impli­ci­ta­mente le auto­rità di Kiev.

La Cri­mea, l’unica regione ucraina dove i russi costi­tui­scono la mag­gio­ranza etnica, resta la pagina prin­ci­pale del copione del Crem­lino, che ne ha il con­trollo pres­so­ché totale sul ter­reno e cerca, in più, di assor­birne l’economia. Va in que­sta dire­zione la deci­sione con cui il governo russo, pre­sie­duto Dmi­try Med­ve­dev, ha appena licen­ziato un decreto che rie­suma un vec­chio piano: la costru­zione di un ponte sullo stretto di Kerch, lin­gua di mare di cin­que chi­lo­me­tri che separa la regione dalla Rus­sia. La strut­tura coste­rebbe tre miliardi di dol­lari, rife­ri­sce l’agenzia Ria Novo­sti, segna­lando inol­tre che Mosca è pronta a ero­gare mas­sicci aiuti finanziari.

Ieri sulla Cri­mea è giunta la noti­zia di un ulti­ma­tum del comando della flotta russa sul Mar Nero, che ormeg­gia nel porto di Seba­sto­poli, alle unità mili­tari ucraine dislo­cate sul ter­ri­to­rio della peni­sola, già di fatto chiuse in gab­bia, dati gli svi­luppi di que­sti giorni. A dif­fon­derla è stato il mini­stero della difesa di Kiev. Tut­ta­via le auto­rità russe hanno negato sec­ca­mente, defi­nen­dola senza fon­da­mento. Il botta e rispo­sta con­ferma che la ten­sione corre anche sul filo della pro­pa­ganda. Se Kiev denun­cia l’aggressione russa, Mosca sostiene che intende difen­dere i con­na­zio­nali di Cri­mea e dell’Ucraina in gene­rale dai pro­po­siti estre­mi­sti dei gol­pi­sti di Kiev.

Al di là di que­sto, par­rebbe che la Rus­sia non voglia spin­gere la Cri­mea sulla strada della seces­sione, quanto meno non ancora e non prima che Kiev, magari, perda i nervi e forzi dun­que allo scon­tro armato. Indi­che­rebbe que­sto, d’altro canto, lo stesso que­sito refe­ren­da­rio che a fine marzo verrà posto ai cit­ta­dini della Cri­mea. Dovranno espri­mersi non sull’indipendenza, ma in merito a un grado ancora mag­giore di auto­no­mia. L’obiettivo prin­ci­pale, si potrebbe azzar­dare, è quello di fare della Cri­mea una sorta di «con­flitto con­ge­lato», una spina nel fianco dei rivo­lu­zio­nari di Kiev, così da riven­di­care quanto più pos­si­bile al tavolo dei nego­ziati, quando e se verrà atti­vato. Intanto, però, Putin avrebbe accet­tato la pro­po­sta tede­sca di isti­tuire una mis­sione di moni­to­rag­gio, sotto l’egida dell’Osce, nella peni­sola. È il pre­lu­dio della pos­si­bile trattativa?

Se sì, tutto lasce­rebbe cre­dere che Putin, con un’Europa spiaz­zata e a un’America che sem­bra a corto di solu­zioni, abbia un potere nego­ziale forte. Ma non è auto­ma­tico che il piano tenda a incli­narsi così evi­den­te­mente dalla sua parte. Il Crem­lino deve fare i conti con la rea­zione impres­sio­nante dei mer­cati. La crisi ucraina ha scom­bus­so­lato gli indici della borsa di Mosca, che ieri ha perso più di dieci punti per­cen­tuali, con colossi come Sber­bank e VTB, prima e seconda banca del paese, che hanno segnato un crollo di quat­tor­dici e dicias­sette punti. Quat­tor­dici, all’incirca, sono anche quelli persi da Gaz­prom, colosso dell’energia.

Pure il rublo ha avuto con­trac­colpi, rag­giun­gendo il minimo sto­rico sul dol­laro e accen­tuando una ten­denza già in atto, a causa della ridu­zione del pro­gramma della Fed sugli sti­moli all’economia ame­ri­cana, che ha col­pito tutti i paesi emer­genti e le loro rispet­tive valute.

Tutto que­sto s‘accoppia con la fles­sione dell’economia nazio­nale. I con­sumi interni rista­gnano, i capi­tali ten­de­reb­bero alla fuga, il pro­dotto interno lordo ha regi­strato un ral­len­ta­mento nell’anno appena tra­scorso. Insomma: la stra­te­gia ucraina di Putin potrebbe avere dei costi non pre­ven­ti­vati. Nel frat­tempo, sul fronte ucraino, si regi­strano segnali di irre­quie­tezza anche nelle regioni dell’est e del sud, dove i sen­ti­menti filo-russi sono sto­ri­ca­mente mani­fe­sti. Sui tetti dei gover­na­to­rati di Odessa e Khar­khiv sven­tola il tri­co­lore russo. A Done­tsk, la roc­ca­forte elet­to­rale di Yanu­ko­vich, gli atti­vi­sti anti-Maidan hanno preso d’assalto la sede del governo regio­nale, auspi­cando la con­vo­ca­zione di un refe­ren­dum sulla falsa riga di quello che si terrà in Cri­mea e rifiu­tando la recente nomina al ver­tice dell’esecutivo locale dell’oligarca Ser­gei Taruta.

Un altro indu­striale di peso, Igor Kolo­moi­sky, numero uno di Pri­vat­Bank, prin­ci­pale isti­tuto di cre­dito del paese, è stato nomi­nato gover­na­tore della regione di Dni­pro­pe­tro­vsk. Coin­vol­gendo gli oli­gar­chi, tito­lari di asset immensi e ten­den­zial­mente schie­rati con Yanu­ko­vich in que­sti anni, i nazio­na­li­sti di Kiev cer­cano di appia­nare le ten­sioni. Ma la tat­tica, ora, non sem­bra premiare.



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