In Crimea le truppe si arrendono ai russi Il capo della Marina passa con Mosca

by redazione | 3 Marzo 2014 11:02

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Francesco Battistini, Corriere della Sera

SINFEROPOLI (Ucraina) — E’ un pdf protocollato 4336, data 02/03/2014. In cirillico. Firmato dal nuovo capo della Difesa ucraina. Riprende le proposte del deputato Sarubi, il barricadiero di Maidan. Alle 12.08, lo spediscono da Kiev al Comando generale delle forze armate ucraine in Crimea: pomposamente, al luogo dove si studiano le strategie sul campo per tamponare l’invasione russa; prosaicamente, in un ufficio sbarrato ai curiosi su via Subhi, sul marciapiede davanti il bazar degli stracciaioli e un poliziotto che ramazza, «oggi è domenica e a parte le riunioni d’emergenza, qui non c’è nessuno…». Il documento, avanti marsch, s’intitola: «Settore di registrazione dell’accordo. Risoluzione. Indicazioni per le operazioni militari e di altri gruppi a difesa dell’Ucraina». Otto punti. Primo, «la resistenza si prepara in modo segreto» (seguono dettagli e suggerimenti tattici…). Due, «l’addestramento delle forze non militari a disposizione sarà, con discrezione, di competenza dei comandanti territoriali» (s’allega l’elenco delle strutture messe a disposizione…). Tre, «il Consiglio dei ministri sostiene finanziariamente ogni iniziativa utile alla difesa» (più sotto, le spese urgenti…). Quattro, «protezione dei diritti dei cittadini e dell’unità territoriale…».
Segretezza, silenzio… Carta straccia. La guardia è già bassa, s’ammaina il bicolore. A una a una, le basi s’arrendono. L’unico ordine è di non sparare. L’unica mossa, sacrificare la Crimea per salvare l’Ucraina. Tutti gli ufficiali delle guardie di frontiera finiscono agli arresti dei russi. Tre accerchiamenti e molte rese: a Sudak, sulle rampe missilistiche di Sebastopoli, la 36ma e la 39ma Brigata di artiglieria, negli hangar che riparano i caccia Su-27… La quinta armata d’Europa si squaglia come un esercito di Franceschiello: pochi marò di Putin e la regione è subito presa. «Fate vedere come ci trattano!», twittano ai giornalisti i cadetti all’accademia militare Nachikov che promettono di tentare, almeno loro, una piccola resistenza. E’ un’occupazione ottocentesca, dice il segretario americano Kerry: l’epica dei social network cita il grido «resisteremo fino alla morte!» d’un piccolo contingente, il 36mo, assediato a Perevalnoye sulla strada per Yalta. Ma è tutto lì: non si spara, ci si ripara. «La cosa positiva è che la nostra Marina difende Balaklava!», è sicuro il deputato Dimitri Bilozerkovic, di Euromaidan: passano quattro ore e i russi dicono che dieci navi nemiche sono già salpate da Kerk e Sebastopoli, rotta su Odessa e Mariupol. L’ammiraglio Denis Berezovski, comandante della flotta del Mar Nero nominato soltanto venerdì, diserta addirittura con una conferenza stampa. Giurerà fedeltà al nuovo governo filorusso di Sinferopoli. Non gl’importa di finire sotto processo: chiede ai suoi uomini di seguirlo.
Si richiamano i riservisti. Un milione subito. E quattordici milioni sotto i 40, se sono sani e servirà. Esercito di popolo, da affiancare a 100 mila soldati di professione e ai 50 mila della naja: «Questa non è la Georgia – scrive la rivista strategica Jane’s – e senz’armi moderne, l’unico modo per contrastare Putin è trascinarlo in un conflitto non limitato alla penisola, ma su un territorio vastissimo. Dove il numero di truppe conta». La disfatta di Crimea sciocca Kiev: com’è stato possibile? Il vuoto di potere, la cacciata dei vecchi generali legati a Yanukovich. E poi la sfortuna d’un infarto che venerdì ha colpito il nuovo capo delle forze armate, Ilyin, sostituito in corsa. In vent’anni, nessuno ha rinnovato gli arsenali: anzi, si gira ancora coi Bmp-1 dell’era sovietica. C’è qualche tank fatto in casa, ma chi ha seguito le missioni internazionali sa che i contingenti ucraini non hanno mai brillato per efficienza: a Sarajevo, furono pure scoperti in un traffico di prostitute e il contributo, in Libia o in Afghanistan, non è memorabile. La Nato tentò un addestramento, ma Yanukovich fermò tutto. I piloti hanno poche ore di volo. «E’ colpa del precedente regime – dice il premier Yatseniuk – , ha volutamente indebolito le nostre forze armate». Nella Penisola, sono di stanza quindicimila uomini. Ufficialmente. Perché al momento dell’invasione, nelle basi ce n’era la metà. Perché ai ragazzi di Crimea è concesso di fare la naja sotto casa. E perché sono quasi tutti filorussi. Quando arriva Golia, Davide non ha nemmeno il tempo di prendere il sasso: sta davanti alla tv, da mamma, dorme, si volta dall’altra parte con una scusa, insomma non c’è… Non sono mancati i sabotaggi. In una base sul mare, la convivenza è tesa ma cordiale: dopo due giorni d’occupazione, i russi hanno chiesto ai colleghi ucraini rimasti dentro se potevano usare il wc.
Senza esercito, si prepara il popolo. «C’è un po’ d’esaltazione – prevede l’ex ambasciatore Usa, Steven Piefer –, molti sognano già d’imitare il nonno che combatteva i comunisti». Comitati di difesa organizzati dall’ultradestra di Pravi Sektor, pronti a scendere da Kiev. Le mamme tatare che vanno davanti alle basi e fanno da scudi umani. Il loro leader radicale, intervistato ieri dal Corriere , che il ministro filorusso ora accusa d’organizzare «ronde terroristiche». Qualche pensionato antirusso si ritrova a Sinferopoli, dietro il monumento del poeta Tara Shevchenko. Un manipolo. Scrivono su un cartello un detto della Crimea: è l’uccello più veloce che prende il verme, non il più grande. Ce n’è da volare.

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