Crimea: Kiev ritira le truppe

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Crimea. L’uscita dalla base di Sim­fe­ro­poli dei mili­tari ucraini, borse in mano o a tra­colla, ripresi nel ten­ta­tivo di distri­carsi tra la folla, ha fatto il giro del mondo e rac­chiude in alcune istan­ta­nee uno degli eventi più rile­vanti del post refe­ren­dum in Cri­mea. E a fronte di un dato di fatto, ieri il governo di Kiev ha uffi­cia­liz­zato il ritiro dei pro­pri mili­tari dalla Cri­mea, «velo­ce­mente e in modo efficiente».

Del resto almeno tre basi nella peni­sola, sono in pos­sesso dei russi; alcuni dei respon­sa­bili mili­tari ucraini sono stati fer­mati e sono in custo­dia. Da parte di Mosca, un’azione suc­ces­siva ad un piano che pare avere impres­sio­nato il Pen­ta­gono, almeno secondo quanto ripor­tato dal Washing­ton Post. «L’azione della Rus­sia in Cri­mea — ha scritto — è stato un esem­pio da manuale di un dispie­ga­mento veloce di forze delle ope­ra­zioni spe­ciali per otte­nere un obiet­tivo limi­tato. Una lezione che non ha niente a che vedere con l’armata sovie­tica in deca­denza che invase l’Afghanistan».

Riguardo i livelli api­cali della marina ucraina fer­mati e nelle mani dei russi, Kiev ha lan­ciato — nella serata di ieri — un ulti­ma­tum chie­dendo il loro rila­scio, minac­ciando azioni «tec­ni­che». Mosca non è parsa molto impres­sio­nata dalle minacce e non ha rea­gito, anche per­ché nella gior­nata di ieri altra carne è stata messa al fuoco.
La situa­zione è in con­ti­nua evo­lu­zione, men­tre il governo ucraino ha annun­ciato che le inda­gini sulle respon­sa­bi­lità delle due morti di ieri (un ucraino e un russo) pro­se­guono. Pare che a ucci­dere siano stati dei cec­chini, ma al momento non ci sono altre novità. Era tra­pe­lata, in mat­ti­nata, la noti­zia non con­fer­mata che uno dei kil­ler potesse essere un dicia­set­tenne appar­te­nente al «Set­tore Destro», uno dei gruppi neo­na­zi­sti che più ha deter­mi­nato la vit­to­ria di Maj­dan e la cac­ciata di Yanu­ko­vich, ma non ci sono state conferme.

La que­stione più rile­vante della gior­nata di ieri è sicu­ra­mente l’annuncio di Kiev che chiede all’Onu di demi­li­ta­riz­zare la Crimea.

La richie­sta è arri­vata dal segre­ta­rio del Con­si­glio nazio­nale di sicu­rezza ucraino Andri Paru­biy, in quota «Set­tore Destro». Si tratta di una novità che con­sente di inqua­drare al meglio l’attuale situa­zione: la Rus­sia ha un accordo con l’Ucraina, rin­no­vato nel 2010 e rico­no­sciuto inter­na­zio­nal­mente, che con­sente alla pro­pria flotta di sta­zio­nare nella base sul Mar Nero, fino al 2042 (esten­di­bile fino al 2047). Per quanto l’Ucraina cer­chi oggi di gio­care su tutti i fronti, è bene ricor­dare che già nel 1994, l’Ucraina fu il primo paese della Comu­nità Stati Indi­pen­denti (Csi) ad entrare nel pro­gramma «Part­ner­ship for Peace», ovvero la «coo­pe­ra­zione nel campo della sicu­rezza e della difesa che mira a sta­bi­lire un nuovo rap­porto tra la Nato e i paesi un tempo nemici del disciolto Patto di Var­sa­via» (come spe­ci­fica un docu­mento del mini­stero della difesa). Nel 1997, dopo l’allargamento a est sta­bi­lito da un incon­tro a Madrid, nasce il par­te­na­riato spe­ciale «Nato– Ucraina», che richiede, per la sicu­rezza euro­pea, «un’Ucraina indi­pen­dente, sta­bile e, soprat­tutto, democratica».

Natu­ral­mente — da sem­pre — que­sto docu­mento è con­si­de­rato l’anticamera di un’entrata nella Nato dell’Ucraina, con un’attenzione riser­vata allo sguardo russo su tutto il ragio­na­mento, tanto che Kiev ha ripa­gato que­sta poten­ziale aper­tura in ogni modo.

Ad esem­pio man­dando i pro­pri uomini lad­dove la Nato è inter­ve­nuta mili­tar­mente: in Afgha­ni­stan, in Iraq, in Bosnia-Erzegovina (garan­tendo l’attuazione degli accordi di Day­ton) e natu­ral­mente in Kosovo. La richie­sta di Kiev di una demi­li­ta­riz­za­zione, dun­que, potrebbe finire per irri­tare ancora di più la Rus­sia, sul peri­colo reale di tutta la vicenda ucraina, ovvero un effet­tivo e ulte­riore allar­ga­mento a est della Nato. Non è un caso che a spin­gere di più con­tro la Rus­sia, sia pro­prio la Polo­nia, che vedrebbe con­fer­mare una pro­pria cen­tra­lità euro­pea, se ci fosse un allar­ga­mento euro­peo e della Nato capace di coin­vol­gere in pieno Kiev.

E l’Onu si mobi­lita, per­ché il segre­ta­rio gene­rale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon è par­tito ieri per una mis­sione in Rus­sia e in Ucraina «che si inse­ri­sce nel qua­dro degli sforzi dipli­ma­tici per inco­rag­giare le parti a risol­vere la crisi in corso per vie paci­fi­che», come ha pre­ci­sato il portavoce.

Fonti russe citate dall’agenzia di stampa Inter­fax par­la­vano que­sta mat­tina di incon­tro di Ban Ki-moon con il pre­si­dente Putin come solo di «una pos­si­bi­lità». E Mosca, in serata, fa sapere che di fronte a certi atteg­gia­menti inter­na­zio­nale, tor­ne­rebbe in ballo la pro­pria posi­zione sull’Iran, rive­dendo dun­que la pro­pria posi­zione sui negoziati.


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Il corpo dell’occupazione. Occupy Wall street.

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  Illustrazione di Olimpia Zagnoli
Durante l’occupazione di Zuccotti park i preservativi sono stati disponibili quasi dall’inizio. Come i poncho per la pioggia, l’acqua da bere, il cibo, i cartoni, le coperte, i teloni e l’indicazione dei negozi disposti a lasciar usare i loro gabinetti: i preservativi facevano parte del kit di sopravvivenza di base. I libri sono arrivati dopo. Nick at Night, la postazione dove andare a rollare le sigarette, è stata probabilmente creata contemporanea­mente. “C’è movimento nel movimento”, mi dice un ragazzo con una strizzatina d’occhio, ed è un po’ come dire: “C’è da mangiare nel movimento”. Ha messo gli occhi su un altro ragazzo, ma qualcun altro gli si è avvicinato prima di lui. Pazienza, ci saranno altre occasioni per mangiare qualcosa di buono.

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