Crimea in festa: «Torniamo in Russia». Oggi i colloqui per l’annessione
SINFEROPOLI — Risultato bulgaro, indipendenza crimea, festa russa. Hanno votato in urne di vetro. Senza osservatori indipendenti. Coi soldati di Putin che scrutavano invisibili. Nessuno ha piegato le schede gialle: le «V» e le croci, sulla casella che chiedeva se si voleva l’annessione alla Russia, erano lì sotto gli occhi di tutti. Qualcuno, la preferenza, se l’è pure fotografata col telefonino. E le opposizioni sono rimaste a casa. E davanti a molti seggi c’erano i miliziani dell’autodifesa popolare, quelli con la fascia sul braccio e la scritta «Unione russa», oppure i sondaggisti russofoni, pagati dal governo filorusso, che chiedevano in russo a chi usciva che cos’avesse votato. Non chiamatelo exit poll: qualche minuto dopo la chiusura dei seggi, la nuova Repubblica indipendente è proclamata col 95,5 per cento dei sì. Partono i fuochi d’artificio, i concerti di piazza, i cortei di clacson. «Abbiamo preso più d’un milione di voti su un milione e 250 mila votanti!», fa i conti eccitato Sergei Aksionov, capo d’un governo imposto due settimane fa dall’occupazione militare del Cremlino. Vodka e hola. Baci imbandierati nel tricolore biancorossoblù. Il premier twitta felice: «È una svolta storica! Grazie a tutti quelli che hanno partecipato al referendum e hanno fatto la loro scelta! Oggi abbiamo preso una decisione molto importante. Che entrerà nella storia».
La storia corre. Già oggi. La Rada di Sinferopoli, all’unanimità e con l’eccezione dei soli tre deputati della minoranza tatara, voterà stamane in una sessione straordinaria l’ingresso nella Federazione russa. «Vogliamo andare veloci — Aksionov dà la tabella di marcia al suo Parlamento —, ma rispettare tutte le procedure legali». Dopo pranzo, lui e una delegazione partono per Mosca: vedranno Putin, gli chiederanno d’essere parte dell’impero. «Questo risultato è legittimo — dice il leader del Cremlino in una telefonata alla Merkel —, rispetta l’autodeterminazione dei popoli garantita dall’articolo 1 della Carta Onu». E allora, avanti spediti: da aprile, annuncia il vicepremier Rustam Temirgaliev, gli stipendi e le pensioni saranno pagati in rubli. Oggi, probabilmente, molte banche resteranno chiuse per evitare l’assalto di chi non si fida. Western Union, da giorni, converte le rimesse dall’estero in valuta russa. E nelle strade di Sinferopoli, compaiono grandi poster rossi che citano operai sovietici e la scritta Cccp: «Compagno, abbi cura dei tuoi soldi!».
Gli altri incassano. Male: «Una buffonata — dice il premier ucraino Arsenyi Yatsenyuk —, questo cosiddetto referendum cui partecipano ventiduemila soldati russi, chiamati con le loro armi a dimostrare la legittimità della consultazione». «Una pagliacciata da circo e una tragedia», per il leader tataro Rifat Chubarov. La sua gente, il dodici per cento della Crimea, ha boicottato le urne e bastava un giro tra le urne di Sinferopoli, ieri mattina, per capire che arie diverse tiravano: di festa, con dolcetti e caffè e l’inno della città, nelle affollate sezioni dei quartieri russi; tutti silenti, con pochi votanti e squadre di nerboruti filorussi sulla soglia, ai seggi vuoti dei rioni musulmani. Le truppe in movimento al confine, sabato, l’allarme sopra le righe lanciato dal governo antirusso, non tranquillizzano. Nemmeno le immagini dei treni che portano blindati ucraini verso le zone russe, a 10 chilometri da Lugansk. O i 15 mila riservisti già pronti, selezionati soprattutto fra i picchiatori scelti di Maidan. «Non credo che ci sarà una guerra», dice il ministro della Difesa di Kiev. «Magari la guerra è lontana — commenta Chubarov —, ma la pace non è vicina».
Il botto crimeo fa l’eco dappertutto. Rumoreggiano a Kharkiv e in seimila si trovano intorno al mausoleo sovietico: «Referendum anche noi!». Le richieste sono il federalismo economico con la «sovranità linguistica». Anche a Donetsk tornano ad agitarsi: la sede dei servizi segreti ucraini viene presa d’assalto, la terza volta in pochi giorni. «È la nostra primavera!», si balla in piazza Nahimov, cuore della Crimea, anche se l’aria è gelida e nei cannoni non promette fiori: «Sebastopoli capitale!», il grido della nuova battaglia. Nella piazza Lenin di Sinferopoli, si tira l’alba. Coi cosacchi e i Pink Floyd. Gli abbracci facili e le schitarrate dei Nirvana. I canti folk e le ballate strette. La storia è ancora tutta da scrivere. Le prime parole, un laser verde sulla facciata d’un palazzo: «Noi siamo Russia!».
Francesco Battistini
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