La Corte costituzionale della Germania tiene in ostaggio l’euro

by redazione | 17 Marzo 2014 9:02

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KARLSRUHE. VISTA dal cancello d’ingresso, la Corte costituzionale tedesca ricorda un liceo di periferia in orario di lezione. Il silenzio è perfetto. Fra i pochi che si aggirano nei vialetti del parco o nei corridoi, è raro trovare qualcuno che indossi una cravatta.
O CHE calzi un paio di scarpe più scomode e belle del solito. Questo posto sul limitare di una foresta, alle porte di Karlsruhe, potrebbe avere in mano le sorti dell’euro. È un anno e mezzo che tiene sotto scacco la Banca centrale europea di Mario Draghi. Lo scudo che protegge i Paesi più deboli dagli accessi di panico del mercato qui è sul banco degli imputati da quando 43 mila cittadini tedeschi, sotto le insegne del gruppo “Più democrazia”, hanno presentato ricorso contro il programma di acquisti di titoli di Stato da parte della Bce. La possibilità dell’Italia di sostenere e ripagare il suo debito passa anche da qui, perché la Corte federale costituzionale tedesca ha il dito sul pulsante nucleare che può far saltare l’euro. Oggi al vertice italo- tedesco di Berlino non se ne parlerà, ma senz’altro le toghe (letteralmente) rosse di Karlsruhe, saranno il convitato di pietra dei colloqui.
Anche perchè il mese scorso sono andate vicinissime a schiacciare quel pulsante nucleare: ha rinviato il caso a una sentenza preliminare della Corte di giustizia europea a Lussemburgo, ma ha detto che a suo avviso la Bce si muove nell’illegalità. Il dito resta sul bottone. E il visitatore che arriva a Karlsruhe percepisce subito come qui il potere si misura in modo proporzionalmente inverso allo sfarzo. Inutile darsi arie di essere forti, quando lo si è.
POCO SFARZO MOLTO POTERE
In Italia qualunque tribunale di provincia sembra più imponente di questo complesso di padiglioni, per non parlare poi della Corte costituzionale. A Roma ciascun giudice della Consulta dispone di una foresteria in un magnifico palazzo e ha diritto in permanenza a un’auto blu con due autisti, anche nel primo anno di pensione. Nel cortile della Corte tedesca le auto blu invece sono appena due, una per il presidente e l’altra a turno per le trasferte di lavoro degli altri. I giudici costituzionali guadagnano un terzo dei loro colleghi italiani, che ricevono oltre 450 mila euro l’anno. Nel parcheggio in giardino, a Karlsruhe, si contano più biciclette che mezzi a motore. Questa è un ex caserma presa in prestito per non pagare un affitto in attesa di rinnovare la sede permanente, peraltro non molto più sfarzosa di così. Se i palazzi del potere hanno un linguaggio, la Corte italiana esprime pompa, magnificenza, superiorità e costa 41,4 milioni l’anno. Quella di Karlsruhe costa 25 milioni ed esprime concretezza e umiltà di fronte ai cittadini. Solo quelli tedeschi ovviamente, non gli europei.
BOCCIATURA RINVIATA
Tutto nella sentenza di rinvio alla Corte europea dell’8 febbraio scorso fa trapelare l’oltraggio per come la Bce cerca di tenere insieme l’euro senza riguardo per le leggi e il cuore della sovranità statuale della Germania. Karlsruhe parla di «usurpazione unilaterale dei poteri» che sottrae
agli elettori il diritto di accettare trasferimenti di sovranità verso l’Europa, o di rifiutarli. I giudici tedeschi sostengono che la disponibilità della Bce di comprare titoli dei Paesi in crisi «viola chiaramente la distribuzione dei poteri», perché Draghi farebbe politica economica al posto dei governi. Di qui l’accusa alla Bce di «trasgredire in modo sostanziale dai propri poteri» e dalle regole di Maastricht con il finanziamento monetario del deficit: l’uso del denaro creato dalla banca centrale per comprare i titoli di debito. Ciò, conclude la Corte, produrrebbe un «trasferimento di risorse pubbliche » fra Stati non previsto dal Trattato europeo. Senza neanche chiedere loro permesso, i tedeschi vedrebbero i loro soldi in pericolo per rimediare le sbandate dell’Italia.
La Corte tedesca per ora ha rinviato a quella europea, ma ci sono pochi dubbi su ciò che farà quando il caso le tornerà fra circa un anno. Anche se Lussemburgo sarà favorevole, sarà tentata di bocciare comunque. Accetterà che l’Europa mantenga i suoi strumenti, ma ingiungerà alla Bundesbank di non partecipare. E poiché la banca centrale
tedesca pesa per il 30% della forza di fuoco della Bce — e molto più in termini di credibilità — senza di essa lo scudo salva-euro è un morto che cammina. Uno spaventapasseri tenuto su per scacciare dall’euro i predatori dei mercati, i quali presto o tardi capiranno che non può molto. A differenza dell’America, del Giappone o della Gran Bretagna, l’area euro rischia di tornare alla casella di partenza: senza un prestatore di ultima istanza in grado garantire la stabilità del sistema.
IL GIUDICE “ITALIANO”
I giudici tedeschi lo sanno benissimo e molti a Bruxelles, Francoforte, Roma o New York possono prendersela con quella che considerano la loro ottusità. Ma chi pensa che fra i giudici tedeschi conti solo l’istinto di proteggere il portafogli della nazione rischia di essere fuori strada. Non c’è dubbio che mille dettagli come lo scarto nel tenore di vita fra Karlsruhe e la Consulta di Roma non invogliano i tedeschi alla generosità verso il Sud. Peraltro il giudice relatore del caso Bce, Peter M. Huber, un giurista e ex politico bavarese cristiano conservatore, parla italiano come un italiano per aver vissuto a Mestre durante l’infanzia e conosce benissimo il Paese, nei difetti e nei pregi.
Ma qui c’è qualcosa di più profondo. Karlsruhe con questa mossa vuole demarcare il cammino giuridico e intellettuale dell’Europa. La sua scelta di rinviare alla Corte europea per esempio (non l’aveva mai fatto) non significa che ne accetta la “primazia” come insegnano i libri di diritto europeo. Ne riconosce solo la “precedenza”. Quando il caso le tornerà in mano con un sì di Lussemburgo e Karlsruhe di fatto lo boccerà comunque, darà volutamente un messaggio che risuona già in molti Paesi: c’è un nocciolo di sovranità che l’Europa non deve intaccare a nessun costo. Non se gli elettori non lo permettono esplicitamente con un voto.
EUROPA DIVISA
C’è poi un secondo livello, ben presente nella testa delle toghe di Karlsruhe. Loro capiscono che fermare il cosiddetto scudo salva-euro può far saltare tutto. Sanno che le grandi aree monetarie hanno sempre un prestatore di ultima istanza e capiscono che serva. Ma molti di loro pensano di non doversi piegare alla razionalità economica, perché non per loro non è l’unica. Trovano che dall’epoca di Reagan e Thatcher l’economia sia diventata una scienza imperiale, con pretese di egemonia su tutti i campi della vita. Vedono economisti consultati come guru su qualunque tema. E vogliono dare il segnale che l’egemonia della razionalità economica è in questione. Non c’è solo lei, qualunque sia il prezzo da pagare per contestarne il monopolio.
Se qualcuno ci avverte l’eco di temi già sentiti altrove, da Beppe Grillo in Italia alla sinistra radicale di Alexis Tsipras in Grecia, c’è poco da stupirsi. È parte di un’integrazione politica d’Europa che molti avevano previsto. Salvo, forse, non esattamente così.

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