by redazione | 26 Febbraio 2014 11:30
Maria Teresa Meli, Corriere della Sera
ROMA — «Due giorni a settimana, possibilmente il mercoledì e il giovedì girerò per il Paese. Del resto, lo avevo detto sin dall’inizio che avrei ritagliato la mia premiership sul modello di quella del sindaco d’Italia. Graziano, toccherà a te stare a Palazzo Chigi e controllare che tutto marci per il verso giusto: sarai fondamentale». Matteo Renzi, l’uomo che corre e non si ferma mai, ha chiarito subito come intende fare il presidente del Consiglio. Mosè (come lo chiama scherzosamente Delrio) varcherà tutte le acque. Ietro (come il premier definisce il suo sottosegretario alla presidenza del Consiglio, utilizzando il nome del suocero-suggeritore di Mosè) presidierà la postazione, prodigando consigli e indirizzando il lavoro del governo.
Che tipo sia Renzi, del resto, a Palazzo Chigi lo hanno capito immediatamente. Sin da sabato sera, ossia quando, prima ancora di prendere la fiducia, aveva cambiato il segretario generale della presidenza del Consiglio. Ma l’uomo che corre non intende fermarsi. Ha già in programma una visita in Tunisia. E tra un viaggio e l’altro ha in mente di finire la settimana con un Consiglio dei ministri in cui annuncerà un provvedimento che prevede il taglio del 10% dell’Irap. Sogni? Parole? «No, basta, questa volta parlano e contano solo i fatti». Al massimo il provvedimento potrà slittare alla prossima settimana, causa tormentone sottosegretari, non oltre. E poi, tanto per non perdere tempo, Renzi sta preparando a Palazzo Chigi «una cabina di regia». Non quelle «robe collegiali da Prima Repubblica» che servivano da cassa di compensazione per accontentare gli alleati riottosi o polemici. No, un vero centro di potere dove decidere delle politiche economiche, della riforma delle pubblica amministrazione, della sburocratizzazione del Paese, senza perdersi in chiacchiere. E, soprattutto, per decidere «lontano dai burocrati che rallentano il lavoro». Dopo l’Irap sarà, ovviamente, la volta dell’Irpef. Lì sarà più complicato agire, ma si agirà: «Ci sono coperture che possono venire dalla tassazione progressiva delle rendite finanziarie e dalla spending review». E poi c’è la Cassa depositi e prestiti. Morale della favola, la «riduzione del cuneo fiscale» immaginata dal premier si aggira tra i 10 e i 15 miliardi. Cifre, queste, a cui ieri ha solo accennato, giusto perché molti osservatori politici e diversi commentatori avevano criticato il suo discorso al Senato del giorno prima. Per questo martedì pomeriggio il presidente del Consiglio ha cercato di darsi un tono più istituzionale. Non è che si sia pentito della «performance» di lunedì a Palazzo Madama. Anche perché, sempre parlando di cifre, in quel caso in numeri sono dalla sua parte. Alle due del pomeriggio, per il suo discorso, la Rai ha raggiunto il 22,4% di share, un inedito per quell’ora. Tradotto: tre milioni e mezzo di persone hanno seguito l’intervento del premier. Ma quello che ha stupito di più gli analisti è stato il dato della cosiddetta permanenza: il 47% dei telespettatori non ha mai abbandonato il video. La sera poi quella percentuale è salita al 52. Morale della favola: sulla Rai tra il primo pomeriggio e la sera Renzi ha totalizzato 7 milioni di telespettatori. Ma c’è un altro aspetto che ha destato l’interesse dei renziani: il dato della cosiddetta permanenza nei giovani tra i 25 e i 34 anni supera sempre il 50%.
Questi numeri, però, non bastano a fugare le nubi all’orizzonte. C’è il Nuovo centrodestra che insiste a chiedere di legare la riforma elettorale a quella del Senato. Sull’argomento il premier «pattina», dice e non dice, ma Silvio Berlusconi non si preoccupa. E un motivo c’è. Lo spiegava giusto ieri Ermete Realacci: «Sono note le perplessità del capo dello Stato sul Senato, che richiede capillari ritocchi ad articoli costituzionali, quindi è inevitabile che l’Italicum entri in vigore per primo». Qualche problema anche dal Pd. Infatti, mentre la minoranza interna si sta acconciando in qualche modo a un compromesso, tant’è vero che si parla della possibilità di eleggere Pier Luigi Bersani alla presidenza del partito e di utilizzare il dialogante Roberto Speranza in versione anti Stefano Fassina, Pippo Civati ha già pronto il simbolo del Nuovo centrosinistra: è simile a quello del Ncd. Solo che i caratteri sono scritti in rosso e, ovviamente, la sigla è Ncs. Civati lo ha pronto. Non sa ancora se lo userà ma sta lì bello stampato e lo fa vedere sia ai colleghi di Sel che ai grillini dissidenti.
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