Un patto costituente dal basso

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Il 2 feb­braio del 2014 la Carta di Lam­pe­dusa ha ini­ziato a muo­vere i suoi passi nel mondo a par­tire dal rove­scia­mento del ruolo impo­sto all’isola da cui prende il nome: da fron­tiera e con­fine del Medi­ter­ra­neo e dell’Europa, a cen­tro pro­pul­sore di una nuova visione dello spa­zio medi­ter­ra­neo ed europeo.

Una visione che si può costruire sol­tanto a par­tire dall’eliminazione delle poli­ti­che migra­to­rie e del pen­siero che ad esse sog­giace, per­ché abbat­terle, spiega il Pre­am­bolo, signi­fica non sol­tanto affer­mare i diritti di una parte della popo­la­zione, ma anche costruire «una radi­cale tra­sfor­ma­zione dei rap­porti sociali, eco­no­mici, poli­tici, cul­tu­rali e giu­ri­dici (…) a par­tire dalla costru­zione di un’alternativa fon­data sulla libertà e sulle pos­si­bi­lità di vita di tutte e tutti senza pre­clu­sione alcuna che si basi sulla nazio­na­lità, cit­ta­di­nanza e/o luogo di nascita».

Libertà di movi­mento; libertà di scelta; libertà di restare; libertà di costru­zione e rea­liz­za­zione del pro­prio pro­getto di vita in caso di neces­sità di movi­mento; libertà per­so­nale; libertà di resi­stenza: prin­cipi che — senza lasciare alcun mar­gine di media­zione — met­tono al cen­tro i desi­deri delle per­sone, e il valore della loro vita in tutte le dimen­sioni in cui essa si esprime a par­tire dal «rico­no­sci­mento che tutte e tutti in quanto esseri umani abi­tiamo la terra come spa­zio con­di­viso e che tale appar­te­nenza comune debba essere rispettata».

Solo nella seconda parte della Carta que­sti prin­cipi sono decli­nati nel lin­guag­gio delle poli­ti­che attuali, per­ché con esse è neces­sa­rio con­fron­tarsi e il loro defi­ni­tivo supe­ra­mento è pre­sup­po­sto indi­spen­sa­bile della nuova geo­gra­fia poli­tica, ter­ri­to­riale ed esi­sten­ziale costruita dalla carta di Lampedusa.

Il primo obiet­tivo e quindi quello della «smi­li­ta­riz­za­zione», affer­mando la neces­sità dell’immediata abo­li­zione di tutte le ope­ra­zioni legate alla mili­ta­riz­za­zione dei ter­ri­tori e alla gestione dei dispo­si­tivi di con­trollo dei con­fini». A par­tire da esso la libertà di movi­mento implica l’abolizione dei visti, delle quote di ingresso, del legame tra sog­giorno e pos­sesso di un con­tratto di lavoro e dei vin­coli impo­sti ai ricon­giun­gi­menti fami­liari (sot­to­li­neando l’enorme pro­cesso di clan­de­sti­niz­za­zione delle per­sone che que­sto sistema ha pro­dotto), così come del prin­ci­pio delle «clau­sole migra­to­rie» impo­sto dall’Ue ai paesi di ori­gine e tran­sito dei migranti. L’affermazione della libertà di scelta com­porta l’immediata abro­ga­zione del Rego­la­mento di Dublino che impone a chi chiede asilo di poterlo fare solo nel primo paese euro­peo che rag­giunge, igno­rando i per­corsi delle per­sone e i loro legami affet­tivi. La libertà di restare declina un nuovo con­cetto del diritto al lavoro e all’abitare, del diritto di cura e di accesso al wel­fare, del diritto all’istruzione e del diritto alla pre­ser­va­zione e alla costru­zione del pro­prio nucleo fami­liare e affet­tivo, così come alla par­te­ci­pa­zione poli­tica e sociale, oltre che la neces­sità dell’affermazione di un lin­guag­gio della non discri­mi­na­zione e di nuove forme di cit­ta­di­nanza radi­cal­mente più inclu­sive anche del prin­ci­pio dello ius soli.

In caso di neces­sità di movi­mento viene affer­mata l’illegittimità dei respin­gi­menti for­mali e infor­mali e dell’esternalizzazione della pro­te­zione inter­na­zio­nale, e la neces­sità di aprire canali di arrivo garan­tito che non costrin­gano più le per­sone a rischiare la pro­pria vita nel ten­ta­tivo di sal­varla, con la pre­di­spo­si­zione di atti­vità di acco­glienza dif­fusa, auto-gestionaria e auto-organizzata. La libertà di resi­stenza com­prende anche il diritto/dovere di disob­be­dire a leggi ingiuste.

La libertà per­so­nale, infine, muo­vendo dalla denun­cia di tutte le vio­lenze e le morti impu­nite che si sono sus­se­guite negli ultimi decenni, è decli­nata nella neces­sità di abro­gare imme­dia­ta­mente la deten­zione ammi­ni­stra­tiva e di chiu­dere i cen­tri in cui essa avviene, non­ché tutte le strut­ture di acco­glienza contenitiva.

Que­sti prin­cipi non com­pon­gono una pro­po­sta di legge, né sono una richie­sta agli stati o ai governi: sono il fon­da­mento di un patto costi­tuente che afferma un diritto dal basso, delle dichia­ra­zioni che sono già azioni e che uni­scono le mol­te­plici realtà che le hanno sot­to­scritte e tutte quelle che lo faranno nell’impegno di pra­ti­carle. La Carta è uno stru­mento nuovo e pre­zioso anche solo per le moda­lità con cui è stato ela­bo­rato. La sua sto­ria si scrive da oggi in poi.


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