Un nuovo patto senza scadenze Letta non lascia e sfida Renzi

by Sergio Segio | 13 Febbraio 2014 7:59

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Il Renzi I è pronto a decollare. Ma passano pochi minuti e da Palazzo Chigi risuonano tamburi di guerra: «Ognuno è rimasto sulle sue posizioni». E che sia così, lo si capisce nella conferenza stampa delle 18 del premier. Quaranta minuti e oltre di bordate, sia pure ben calibrate e senza mai esagerare, con un unico destinatario: Matteo Renzi. E così Letta sfida il suo avversario, lo invita a uscire allo scoperto e contemporaneamente prova a rilanciare il suo governo, proponendo un Letta bis e un «nuovo patto» senza scadenze. Mossa che spiazza i renziani, convinti fino all’ultimo del passo indietro. La parola, e potrebbe essere quella definitiva, passa ora alla direzione del Pd, che si riunisce oggi.
L’incontro mattutino tra Letta e Renzi dura un’ora e non è certo sereno. Ma all’uscita il segretario del Pd spiega ai suoi di essere soddisfatto. Il premier, racconta, gli avrebbe fatto capire di essere pronto ad accettare la svolta. Renzi gli ha anche proposto un incarico di governo. Ma evidentemente Letta ha altre idee. Anche Dario Franceschini, ministro scelto dal premier, ma attivissimo negli ultimi giorni per creare le condizioni di una svolta, prova a convincere Letta a desistere. Ma il premier non ne alcuna intenzione. Non vuole suicidarsi. Se morte dovrà essere, vuole che sia indicato il nome di chi l’ha causata. La tentazione del voto anticipato torna ad avvicinarsi. Ma il capo dello Stato la respinge seccamente. E a chi glielo accenna, risponde: «Non diciamo sciocchezze».
Letta si presenta in conferenza stampa con un sorriso un po’ tirato. Fa una photo opportunity con il manifestino del patto di coalizione, «Impegno Italia», dal quale è sparito l’orizzonte temporale. Parte subito all’attacco. Nega di aver perso tempo: «Ho aspettato le decisioni del Pd, che aveva voluto dare la precedenza alla legge elettorale. Se si è perso tempo non è colpa mia». Smentisce recisamente di volersi dimettere: «Le dimissioni non si danno per dicerie, per manovre di palazzo, per retroscena». Poi attacca: «Ognuno deve pronunciarsi. Ognuno deve dire cosa vuol fare, soprattutto chi vuole venire qui al posto mio. Ognuno deve giocare a carte scoperte». Letta si dichiara «uomo del Pd» e «uomo delle istituzioni». Si dice orgoglioso del lavoro fatto al governo: «Abbiamo fatto molto, per le condizioni date. Vivo ogni giorno come se fosse l’ultimo, anche perché sono stati talmente tanti quelli che hanno cercato di cacciarmi…». Nonostante questo, si dice sereno. E lo dice con un riferimento sarcastico a un hashtag usato da Renzi nei giorni scorsi, per rassicurare il premier (#enricostaisereno): «L’hashtag è #iosonoserenoanzizen. Se mi andasse male, potrei andare in qualche monastero a insegnare pratiche zen».
Letta, infine, lancia l’ultima sfida: «Il mio governo è nato in Parlamento, il suo lavoro deve essere esaminato nelle sedi appropriate, incluso il mio partito, il Pd e dal suo segretario. Dobbiamo agire con la logica della cristalleria, altrimenti finisce male». Insomma, se deve cadere sarà per mano del Parlamento, come è stato per Romano Prodi. Ma prima dovrà passare dalla direzione di oggi. E qui si vedrà se ci sarà un documento messo ai voti o se se ne discuterà soltanto. A quel punto Letta deciderà se fare l’ulteriore passaggio in Parlamento o no.
In Transatlantico i renziani cominciano a preoccuparsi. I sorrisi e la sicurezza di chi già faceva i conti per il nuovo esecutivo si infrangono sui timori di un prolungamento del governo Letta. Le prime reazioni sono nervose: «Gli italiani — dice Ernesto Carbone — non possono aspettare un altro anno senza riforme con il tirare a campare». Carbone contesta anche Impegno Italia: «Molte delle 58 pagine sono un copia e incolla del programma di Matteo». Paolo Gentiloni commenta laconico la conferenza stampa su Twitter: «Mah».
Tra i partner di governo, Angelino Alfano smentisce delle frasi che sembrano duramente liquidatorie di Letta e poi spiega: «Con chiunque sarà premier vogliamo concordare il programma».
Alessandro Trocino

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