Twitter, tonfo a Wall Street: meno 22% gli utenti non aumentano abbastanza

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NEW YORK — Il segretario di Stato americano, John Kerry, ora si esprime freneticamente su Twitter. Forse è per quello che il titolo dell’azienda californiana è crollato in Borsa. Se un politico settantenne abbraccia una nuova moda, è il bacio della morte? Da ieri il “caso Twitter” è al centro delle preoccupazioni di Wall Street dopo il tonfo del 22% in una sola seduta. Creato nel marzo 2006 a San Francisco, questo social network e microblog è uno dei dieci siti più visitati del mondo. Funziona come una messaggeria universale, a cui ciascuno può affidare brevi pensieri, purché non superino le 140 battute. Ci si può iscrivere per seguire sistematicamente i tweet — “cinguettìi” — di qualche personaggio celebre. E si possono anche commentare i tweet altrui. Collocata in Borsa il 6 novembre 2013, Twitter è una delle start-up di maggior successo di tutti i tempi: nel primo giorno di quotazione, le sue azioni schizzarono da 26 a 45 dollari, dando una capitalizzazione iniziale di 31 miliardi. Anche grazie a questo trionfo iniziale, Twitter è stata spesso gemellata a Facebook come una delle success story più recenti della Silicon Valley. E tuttavia le differenze sono abissali, rispetto al sito sociale creato dieci anni fa da Mark Zuckerberg. Facebook non solo ha sfondato la soglia di un miliardo e 200 milioni di utenti, ma in un mese medio coloro che lo usano attivamente sono il 17% della popolazione mondiale. Al confronto, gli utenti che almeno una volta al mese si affacciano su Twitter sono appena il 3% della popolazione mondiale. Le dimensioni non sono proprio le stesse. Ma la ragione dello shock di Borsa è un’altra: la “piccola” Twitter sembra soffrire già di una crisi di disaffezione dei suoi utenti. La “sindrome Kerry” non è estranea al problema. I cinguettìi si sono rivelati adatti soprattutto alle star, ai politici, a figure pubbliche che vogliono propagare la propria immagine o il proprio pensiero (quand’anche siano superficialità o pure scemenze… come si addice a una riflessione di 140 caratteri). Facebook si è dimostrato uno strumento di socializzazione digitale più democratico, più flessibile, più universale. I dati che hanno innervosito gli investitori, eccoli qua. Nell’ultimo trimestre 2013 Twitter ha conquistato “solo” 9 milioni di nuovi adepti, per un totale di 241 milioni. Una cifra ragguardevole per qualsiasi azienda normale. Ma qui parliamo delle star dell’economia digitale, che si muovono in un universo di dimensioni multiple. Quei 9 milioni di nuovi “cinguettanti” sono un aumento del 3,8% rispetto al 6,4% del periodo precedente. Il ritmo di crescita è in calo costante. Altro segnale negativo: scende la frequenza con cui gli utenti “rinfrescano” i tweet. È quell’operazione con cui uno va ad aggiornare la lista degli ultimi cinguettìi arrivati in casella, per leggersi le novità. La somma totale di tutte le “timeline views” — letteralmente, le operazioni di aggiornamento e consultazione — è scesa da 159 milioni a 148 milioni a trimestre. Evidentemente noi adepti cominciamo ad essere meno avidi di consultare i cinguettìi altrui. Troppe banalità, troppa spazzatura, vaniloquio o addirittura turpiloquio?
Si preoccupa Wall Street perché questi dati sono sotto la lente del pubblico che conta di più: gli investitori pubblicitari. Sono loro la fonte di reddito di Twitter. E finora sono stati generosi. Ogni mille “consultazioni-aggiornamenti” di chi va a guardare la propria catena di messaggi su Twitter, l’azienda incassa 1,49 dollari di pubblicità. Niente male, e infatti i conti trimestrali sono decenti: 243 milioni di fatturato, in crescita del 116% rispetto allo stesso periodo del 2012. Ma un’azienda giovane e digitale come Twitter deve il suo successo alla capacità di essere percepita come ineluttabile, proiettata verso la stratosfera. Vivacchiare non basta: fai la fine di Aol o Yahoo ormai percepiti come dinosauri… Twitter ora promette che correrà ai ripari. «Diventeremo più facili da usare », annuncia il chief executive Dick Costolo. «Tua mamma è su Facebook, ma non su Twitter», osserva il blog tecnologico del New York Times per sottolineare che il cinguettìo non è universale. C’è un settore dove Twitter stravince la gara con Facebook, però. È nei commenti istantanei dei telespettatori che seguono in diretta i talkshow. Per la brevità, i cinguettìi su Twitter vengono ripresi in sovraimpressione e passano come “strisciate” sui video. L’accoppiata Twitter più televisione può essere un argomento vincente verso i pubblicitari. A meno che invece descriva l’abbraccio fra due media perdenti.

 


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