Tutti di corsa al Quirinale

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Ore 13: Enrico Letta passa la mano. Il col­lo­quio con il capo dello Stato è lungo, un’ora buona, ma del tutto privo di suspense. Ancora gio­vedì sera il Colle esi­tava tra crisi lampo e par­la­men­ta­riz­za­zione della stessa. Ma quando il pre­mier arriva al Qui­ri­nale il dado è già stato tratto. Lo capi­scono tutti nel momento stesso in cui il fatale col­lo­quio, ini­zial­mente fis­sato per le 16, viene anti­ci­pato di 3 ore. Segno ine­qui­vo­ca­bile della deci­sione di pro­ce­dere a passo di carica. Ieri pome­rig­gio le prime con­sul­ta­zioni, i pre­si­denti delle camere, poi quelle dei pre­si­denti del gruppo misto al Senato, Lore­dana De Petris, e alla Camera, Pino Pisic­chio. Oggi il grosso delle dele­ga­zioni. Entro lunedì mat­tina, alla ria­per­tura dei mer­cati, ci sarà un pre­si­dente inca­ri­cato. Mar­tedì stesso Renzi otterrà la fiducia.

Dal cor­teo delle dele­ga­zioni man­che­ranno quella del M5S e della Lega. Uno sgarbo che il Qui­ri­nale non può certo pren­dere bene. Ma l’occasione pro­pa­gan­di­stica è troppo ghiotta per lasciar­sela sfug­gire. Grillo lascia che a deci­dere siano i gruppi par­la­men­tari con­giunti: 62 con­tro la par­te­ci­pa­zione, 17 a favore, 6 aste­nuti. Poi rin­cara la dose sfrut­tando l’argomento di più facile presa che ci sia: «Rice­vendo il cava­liere, Gior­gio Napo­li­tano lo resuscita».

Anche que­sta per il pre­si­dente è una spina. Oggi Sil­vio Ber­lu­sconi gui­derà la dele­ga­zione for­zi­sta. E’ ovvio che la cosa non fac­cia pia­cere all’ospite. Ma pre­sie­dere la dele­ga­zione del par­tito di cui è lea­der indi­scusso è nel pieno diritto dell’ex pre­mier, così come lo è stato alcuni mesi fa dello stesso Beppe Grillo. Il Colle non può in alcun modo for­zare le regole per impe­dirlo e nem­meno per sug­ge­rire solu­zioni più diplo­ma­ti­che. In que­sti casi non resta che accon­ciarsi. Qual­che ora dopo il Car­roc­cio si accoda. Maroni ordina: «Sta­volta sono d’accordo con Grillo. La Lega non dovrebbe par­te­ci­pare alle con­sul­ta­zioni». Detto fatto. Sal­vini esegue.

Ma per Napo­li­tano l’offesa di gril­lini e leghi­sti è la pre­oc­cu­pa­zione minore. Anche Fi, infatti, pur evi­tando la diser­zione, non intende rinun­ciare alla pro­pa­ganda facile. Ber­lu­sconi fa gli auguri a Renzi, che in fondo, per lui, resta sem­pre il migliore tra i nemici. Poi però passa ai toni ruvidi: «Que­sta non è demo­cra­zia», «Letta è caduto per vicende del retro­bot­tega Pd». Sopra­tutto attacca fron­tal­mente quello stesso pre­si­dente che oggi lo con­sul­terà, ripe­tendo che nel 2011 ci fu in Ita­lia un golpe ai suoi danni. Nem­meno que­sto è pre­ci­sa­mente un esem­pio di bon ton isti­tu­zio­nale. Il peg­gio, però, è che Fi minac­cia di alzare le bar­ri­cate pro­prio sulla man­cata par­la­men­ta­riz­za­zione della crisi, sino a ipo­tiz­zare il blocco della con­ver­sione di tutti i decreti in scadenza.

In realtà è stato pro­prio Enrico Letta a far pen­dere la bilan­cia dal lato della mas­sima acce­le­ra­zione. Di farsi umi­liare in par­la­mento, sino al voto di sfi­du­cia del suo stesso par­tito, non aveva alcuna inten­zione. Dif­fi­cile, anzi impos­si­bile, negar­gli com­pren­sione. Il pas­sag­gio par­la­men­tare sarebbe stato cer­ta­mente quello for­mal­mente più ade­guato e cor­retto, anche se nella sostanza non sarebbe cam­biato nulla. Ma avrebbe signi­fi­cato anche man­dare Letta incon­tro a un mas­sa­cro certo, e per una volta è dif­fi­cile dare tutti i torti al capo dello Stato se non ha insi­stito per impor­glielo.
Del resto, al Qui­ri­nale hanno con­tato ben 33 crisi di governo non par­la­men­ta­riz­zate nella sto­ria repub­bli­cana. E’ vero che risal­gono quasi tutte alla prima repub­blica, quando era que­sto l’uso comune. Però anche gli ultimi due governi, quello Ber­lu­sconi nel 2011 e quello Monti nel 2013, si sono dimessi senza pas­sare per il voto dell’aula, e in quel caso al mede­simo Sil­vio Ber­lu­sconi non passò nep­pure per la mente di star vio­lando gra­ve­mente la cor­ret­tezza pro­pria di una demo­cra­zia parlamentare.

Anche Lore­dana de Petris, rice­vuta come pre­si­dente del Gruppo Misto ma voce anche di Sel, cri­tica la man­cata par­la­men­ta­riz­za­zione, ma con toni pacati. Sul governo nasci­turo, invece, va giù dura: «La mag­gio­ranza è la stessa, del pro­gramma nem­meno si è par­lato. Dalla dire­zione Pd è uscito solo il ricam­bio del pre­mier, ma que­sto non è un con­corso di bel­lezza. Era­vamo all’opposizione col governo Letta, lo saremo anche col prossimo».


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