Tassi Bot al minimo storico, spread sotto i 200

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ROMA — La sequenza di questi giorni sui mercati è senza precedenti nell’ultimo quinquennio. Un governo italiano vacilla, cresce l’incertezza sulla situazione politica del quarto debitore al mondo per volume di titoli emessi, ma la reazione degli investitori è un misto di indifferenza e euforia.
A Piazza Affari il Ftse-Mib ieri ha messo a segno il progresso maggiore in Europa, con una crescita dell’1,3% con il quarto rialzo consecutivo e oltre la soglia dei 20.000 punti: malgrado lo choc dai mercati emergenti, è già oltre sei punti sopra i livelli di inizio anno. Sempre ieri Tesoro ha collocato i buoni a un anno per otto miliardi di euro con un rendimento ai minimi dello 0,67%. Lo spread fra Italia e Germania sui titoli di Stato a dieci anni è sceso brevemente sotto i 200 punti e il decennale italiano ha toccato un rendimento del 3,67%. Era dal 2006 che il debito pubblico a lungo termine non costava così poco, in termini nominali.
Il quadro non è tutto rassicurante come appare. Con un’inflazione scesa ad appena lo 0,6%, per il Tesoro il costo dei Btp in termini reali (al netto dell’erosione dei prezzi a causa del carovita) resta dell’1,5% sopra le medie italiane registrate dall’avvio dell’euro. La crescita zero segnala che il debito in proporzione al Pil nel 2014 rischia di aumentare verso quota 140%, anche solo per effetto degli interessi. Sulla tenuta di lungo periodo degli equilibri finanziari in Italia restano dunque i punti interrogativi che gravano sul Paese da anni.
Il mercato però per ora ha deciso di concentrarsi sulle buone notizie. Ci sono certo fattori globali, in primo luogo la fiducia nel sostegno delle grandi banche centrali. Il nuovo presidente della Federal Reserve, Janet Yellen, martedì ha lasciato sperare che i tassi americani resteranno a zero più a lungo del previsto. E molti operatori puntano su un taglio dei tassi della Banca centrale europea il 6 marzo prossimo. Questi elementi, oltre a segnali di un ritorno alla crescita rapida in Cina, ieri hanno sostenuto quasi tutti i listini.
Sul momento positivo dell’Italia contano però anche ingredienti puramente nazionali. Il più evidente riguarda le banche: il Tesoro, la Banca d’Italia e i principali banchieri privati del Paese stanno segnalando da giorni che è arrivato il momento di asportare dal sistema finanziario i crediti deteriorati, ormai vicini al 25% dell’attivo. Lo stesso governo non esclude più di facilitare il processo offrendo garanzie su certe operazioni di una «bad bank» che assorba le sofferenze. Qualunque forma prenda il progetto, l’attesa contribuisce già a far salire le quotazioni di quasi tutte le banche, il cui forte peso sul Ftse-Mib trascina a rialzo il listino di Milano più degli altri. I mercati però crescono in parte anche nell’ipotesi che un cambio a Palazzo Chigi fra Enrico Letta e Matteo Renzi possa segnare una svolta. «Se si concretizzasse — si legge in una nota dell’Unicredit di ieri — è probabile che ciò porti anche un passo più rapido delle riforme».
Il ritorno alla normalità dopo la crisi dell’euro non si decide però solo in Italia. Ieri Mario Draghi ha puntato il dito su alcune delle falle dell’unione bancaria che si sta costruendo in zona-euro. Il presidente della Bce ha sottolineato come sia troppo lenta la transizione verso un fondo comune per la gestione delle banche da liquidare. «Un’attesa di dieci anni è lunga e lo si poteva evitare ». Draghi ha ipotizzato che il «meccanismo unico di risoluzione» delle banche preveda la possibilità di un finanziamento sul mercato grazie a garanzie pubbliche. Il timore che il sistema europeo di controllo sulle banche manchi di risorse finanziarie resta. E non potrà che farsi sentire sull’accesso al capitale e ai prestiti degli istituti italiani che nei prossimi mesi saranno chiamati a rafforzarsi.


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