by redazione | 21 Febbraio 2014 14:47
ROMA — Sette-otto miliardi da destinare quest’anno al taglio del cuneo fiscale, attraverso un aumento delle detrazioni sul lavoro dipendente concentrato sui redditi bassi (i benefici maggiori, fino a 450 euro di tasse in meno l’anno, ci sarebbero per chi guadagna 15 mila euro) e uno sconto del 10% sull’Irap pagata dalle aziende. Questo l’obiettivo al quale sta lavorando lo staff del presidente incaricato Matteo Renzi per dare, col prossimo governo, un colpo di frusta all’economia. Il tutto finanziato per almeno la metà dai tagli alla spesa pubblica affidati al commissario Carlo Cottarelli: 3-4 miliardi nel 2014, e poi sempre di più per arrivare ad almeno 32 miliardi nel 2016, agendo sui molti capitoli della spending review che sono stati oggetto di analisi in questi mesi. Qualche esempio? Lo sfoltimento delle 30.133 partecipazioni in società da parte di amministrazioni pubbliche: 349 quelle in mano a ministeri, agenzie fiscali e altre amministrazioni centrali; 21.900 quelle dei Comuni, 2.679 delle Province, 581 delle Regioni,1.562 delle università e così via. Per un totale, appunto, di oltre 30 mila partecipazioni in circa 7.400 società.
Nel mirino di Cottarelli, in particolare, le 2.023 società partecipate dagli enti locali in rosso per complessivi 2,2 miliardi. Più in generale, si punta a una riduzione delle partecipazioni, anche di quelle non in deficit, se non strettamente giustificate: tra le società partecipate in perdita vi sono, per esempio, 54 aziende manifatturiere, 156 società di noleggio, agenzie di viaggio e di servizi alle imprese, 77 aziende di commercio e officine di riparazione per auto e moto.
Altri capitoli importanti, la centralizzazione degli acquisti rafforzando il ruolo della Consip; il taglio della spesa per locazioni (730 milioni l’anno solo quella dello Stato centrale) e per i contratti di fornitura (energia, servizi, manutenzione), completando la definizione dei costi standard; riorganizzazione dell’amministrazione centrale attraverso l’accorpamento di strutture (per esempio le scuole di formazione dei dirigenti pubblici); attuazione dell’Agenda digitale; risparmi sugli esuberi di personale, da gestire attraverso l’estensione al pubblico degli ammortizzatori sociali; riordino e riduzione degli incentivi alle imprese; razionalizzazione della rete delle camere di commercio; controlli più severi sulle prestazioni sociali e assistenziali; riorganizzazione e informatizzazione degli uffici giudiziari; razionalizzazione degli enti vigilati e di ricerca dei vari ministeri.
Spending review e riforma del lavoro (via l’articolo 18 sulle nuove assunzioni per i primi 2-3 anni) saranno le due carte con le quali Renzi negozierà a Bruxelles l’accordo per ottenere flessibilità sul deficit del 3% del Pil. Obiettivo: poter spendere almeno 5 miliardi in opere pubbliche (in cima ai desideri di Renzi c’è il piano per l’edilizia scolastica). Ma a parte la spending review da dove arriveranno gli altri 3-4 miliardi per tagliare il cuneo? Dalla riduzione della spesa per interessi sul debito (lo spread sotto 200 aiuta) e dall’aumento di qualche punto del prelievo sulle rendite finanziarie. Come ha ribadito ieri il responsabile Economia del Pd, Filippo Taddei, le entrate saranno «certe e durature», «parte dalla spesa pubblica e parte dal fisco». «Una rimodulazione della tassazione sulle rendite finanziarie ci sarà — ha spiegato — perché c’è risparmio e risparmio, ma non lanceremo una campagna contro il risparmio».
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