Sull’unione bancaria europea pesa il potere delle lobby

by Sergio Segio | 14 Febbraio 2014 10:12

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Il 15 set­tem­bre 2008, con il fal­li­mento di Leh­man Bro­thers, scop­piava in tutta la sua viru­lenza la crisi finan­zia­ria ori­gi­na­tasi nel set­tore dei mutui ad alto rischio. A distanza di cin­que anni, cosa è stato fatto in Europa dell’agenda di riforme pro­po­ste da chi aveva colto nel segno? L’Ue ha innan­zi­tutto creato una serie di appa­rati rego­la­tori dalle sigle sug­ge­stive ma dall’impatto scar­sa­mente inci­sivo (Euro­pean System of Finan­cial Super­vi­sion, Euro­pean Syste­mic Risk Board, Euro­pean Insu­rance and Occu­pa­tio­nal Pen­sions Autho­rity, Euro­pean Ban­king Autho­rity). Alla fine del 2013, tut­ta­via, un passo signi­fi­ca­tivo è stato fatto con la messa in can­tiere dell’unione ban­ca­ria. Essa si com­pone di tre pedine fon­da­men­tali: la ride­fi­ni­zione di regole comuni pru­den­ziali, volte a una appli­ca­zione con­si­stente dell’accordo Basi­lea III; il tra­sfe­ri­mento in capo alla Bce dei poteri di super­vi­sione dei grandi gruppi ban­cari; infine, la crea­zione di un Mec­ca­ni­smo unico di riso­lu­zione. L’ambito di appli­ca­zione dei nuovi stru­menti è com­po­sta dall’area euro più i Paesi che inten­dano aderire.

Dal punto di vista della Com­mis­sione, la ratio delle norme è duplice: da un lato evi­tare che la fram­men­ta­zione nor­ma­tiva impe­di­sca l’integrazione all’interno del mer­cato comune, dall’altro creare un mec­ca­ni­smo capace di inter­ve­nire in modo rapido, iden­ti­fi­cando ed even­tual­mente ponendo in liqui­da­zione gli isti­tuti in situa­zione cri­tica. Il con­cen­trarsi sui grandi gruppi (posti sotto il diretto con­trollo della Bce) ser­vi­rebbe ad assi­cu­rare velo­cità e inci­si­vità nell’azione quando a essere toc­cata sia un’istituzione siste­mica, il cui col­lasso potrebbe far tre­mare l’intero sistema finanziario.

Un primo ele­mento di cri­ti­cità sta nella sostan­ziale comu­nanza d’intenti della Com­mis­sione e delle prin­ci­pali lobby finan­zia­rie. Il 5 giu­gno del 2013, l’Institute of Inter­na­tio­nal Finance (una lobby ban­ca­ria) chie­deva a gran voce l’armonizzazione delle norme e della rego­la­men­ta­zione a livello inter­na­zio­nale. In effetti, dal punto di vista del set­tore finan­zia­rio un’integrazione cre­scente per­mette eco­no­mie di scala e di rete e quindi il rag­giun­gi­mento di pro­fitti più alti. Se è vero che simili gua­da­gni di effi­cienza sareb­bero in via teo­rica auspi­ca­bili una volta tra­dotti in migliori con­di­zioni per i rispar­mia­tori, è asso­dato che simili con­si­de­ra­zioni sono una pia illu­sione: l’unica solu­zione pos­si­bile è inter­ve­nire in modo radi­cale, limi­tando la pos­si­bi­lità di con­cen­tra­zione e la sepa­ra­zione netta tra le atti­vità di cre­dito stan­dard (depo­siti e pre­stiti all’economia reale) e le atti­vità spe­cu­la­tive pro­prie delle ban­che d’investimento. Anche lad­dove il Mec­ca­ni­smo fosse effi­cace, esso sarebbe per­verso: in pre­senza di fal­li­menti di enti siste­mici, la via d’uscita non può che essere l’assorbimento da parte di altri enti siste­mici, gene­rando ulte­riore cri­ti­cità nel sistema. Lo stesso giu­di­zio nega­tivo si può espri­mere sull’armonizzazione delle regole, più che altro per i limiti di Basi­lea III: Leh­man Bro­thers avrebbe pas­sato il test di capi­ta­liz­za­zione cin­que giorni prima di fallire.

Infine c’è la liqui­da­zione: le nuove norme pre­ve­dono la crea­zione di un Fondo unico di riso­lu­zione. La noti­zia posi­tiva è che non si tratta di un fondo di sal­va­tag­gio, nel senso che inter­ver­rebbe solo una volta esau­rito l’8% di pas­si­vità e fondi dell’istituto, e che comun­que dovrebbe essere finan­ziato (a regime, cioè nel 2023) dal set­tore finan­zia­rio stesso in misura pari all’1% dei depo­siti garan­titi. La noti­zia nega­tiva è che potrebbe essere spun­tato, nel senso che le risorse potreb­bero essere insuf­fi­cienti e la tran­si­zione troppo lunga (addi­rit­tura si pre­vede la pos­si­bi­lità di esten­derla da 10 a 14 anni). In tal caso, a inter­ve­nire sarebbe pro­ba­bil­mente il Mec­ca­ni­smo euro­peo di sta­bi­lità, con soldi dei con­tri­buenti e con la solita lista di riforme in cam­bio dei prestiti.

Rispetto agli altri prov­ve­di­menti che si dovreb­bero adot­tare, per il momento si tratta di buone inten­zioni. Una pro­po­sta di tassa sulle tran­sa­zioni finan­zia­rie è stata for­mal­mente appro­vata dal Par­la­mento euro­peo a giu­gno dell’anno scorso. Sul tema cru­ciale della sepa­ra­zione tra atti­vità com­mer­ciali e atti­vità spe­cu­la­tive la Com­mis­sione ha for­mu­lato una pro­po­sta alla fine di gen­naio. Sul sistema ban­ca­rio ombra siamo solo alla fase di defi­ni­zione di un per­corso, basato sulla Con­sul­ta­zione fatta dalla Com­mis­sione nella pri­ma­vera del 2012. Insomma, riforme timide, in ritardo, a volte addi­rit­tura rischiose e che in ogni caso non svol­tano né rispetto alla cen­tra­lità della finanza nell’economia, né rispetto all’enfasi tecnocratica.

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