Spending review in ritardo e Bruxelles congela la deroga ai conti pubblici di Roma

by Sergio Segio | 15 Febbraio 2014 8:16

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Quei numeri dovranno arrivare appunto fra oggi e domani, termine teorico fissato da Bruxelles, altrimenti si chiuderà lo spiraglio della cosiddetta «clausola investimenti». «Siamo al limite» ammonisce la Commissione Europea. Perché l’intesa con l’Ue era quella, secondo quanto ribadito da Bruxelles a Roma: una volta dimostrato che state attuando i risparmi promessi attraverso investimenti produttivi e cofinanziati con l’Europa, potrete «rosicchiare» uno 0,3%-0,4% in più rispetto all’attuale rapporto deficit-Pil, che è pur sempre al di sotto del limite del 3% fissato per tutti i Paesi dell’euro. In altri termini: quegli stessi investimenti produttivi non saranno calcolati nel cumulo del deficit. Anche se, ha ammonito proprio ieri il nostro ministero dell’Economia e delle finanze, «la clausola così come concepita è di fatto priva di utilità per l’Italia in quanto richiederebbe una manovra restrittiva di pari entità della flessibilità concessa, con effetti che sarebbero neutri o negativi sulla crescita nel breve periodo… il governo sta preparando il materiale analitico necessario ad assumere decisioni eventualmente da comunicare alla Commissione».
Nei mesi scorsi, lo stesso commissario Ue agli affari economici Olli Rehn aveva sottolineato che «la clausola per gli investimenti facilita un certo margine di manovra per investimenti produttivi per un Paese membro, se questo rispetta il limite del 3% nel rapporto deficit-Pil». Ma sempre Rehn, in occasione della valutazione delle manovre finanziarie dei vari Stati, aveva poi indicato l’elevato debito pubblico italiano come la ragione del «divieto d’accesso» alla clausola tanto ambita. La comparsa all’orizzonte della «spending review» aveva poi cambiato in parte il paesaggio; e l’Italia si era vista concedere due mesi in più di margine, appunto per presentare i nuovi dati. Ma ora a Roma è caduto il governo, c’è gran confusione sulle nuove linee dell’economia, l’attività politica è praticamente congelata: e fra poco, il 25 febbraio, la Commissione Europea diffonderà le previsioni macroeconomiche invernali sull’economia, nelle quali — appunto — dovrebbero essere inseriti anche i dati sulla «spending review» italiana. È da qui che nasce l’urgenza. Le previsioni verranno diffuse da Strasburgo, in coincidenza con la seduta plenaria dell’Europarlamento. Per la verità, fra Bruxelles e Strasburgo, non molti hanno finora scommesso sulla possibilità italiana di agguantare la «clausola». Anche perché la Commissione chiedeva e chiede che l’Italia aggiusti strutturalmente il suo Pil dello 0,4%, prima ancora di aspirare alla clausola di flessibilità; Roma invece ha sempre puntato, per prima cosa, sulle privatizzazioni e la spending review .
La caduta del governo Letta sembra aver dato ancor più ragione ai pessimisti. Qualche giorno fa, poco prima delle dimissioni, l’allora premier Enrico Letta aveva spiegato quali risorse dovrebbero consentire un primo taglio alle tasse: la «spending review» operata da Carlo Cottarelli, con risparmi potenziali da 3 miliardi nel 2014, rappresentava la prima voce (altri 3 miliardi si attendevano o si attendono anche dalle autodenunce volontarie sui capitali esportati illegalmente all’estero, e altri 3 ancora dai risparmi sulla spesa per interessi determinati dal calo dei tassi). Da calcoli diffusi in seguito, 10 dei 18 miliardi messi da parte nel 2015 avrebbero dovuto — o dovrebbero — provenire dalla «spending review».
Luigi Offeddu

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