by Sergio Segio | 13 Febbraio 2014 9:35
GERUSALEMME — «Un giovane palestinese mi ha chiesto perché abbia diritto a 17 litri d’acqua al giorno, quando gli israeliani possono consumarne 70. Mi ha commosso e adesso giro a voi la sua domanda». La risposta di Naftali Bennett e dei suoi deputati è stata alzarsi in piedi e lasciare l’aula della Knesset dove Martin Schulz stava parlando. La visita e il discorso del presidente dell’Europarlamento avrebbero dovuto rattoppare i buchi diplomatici nelle relazioni tra Israele e l’Unione Europea. Lo strappo è invece diventato ancora più grande.
Il premier Benjamin Netanyahu ha scelto di non criticare la protesta del suo ministro dell’Economia e leader del partito ultra-nazionalista Focolare ebraico. Le parole di rammarico sono state indirizzate a Schulz: «Ha dato retta a una sola fonte e purtroppo sta diventando il vizio degli europei. Ha ammesso di non aver controllato i dati. È quello che succede sempre: ascoltano, non verificano, lanciano accuse».
Bennett ha considerato inaccettabili anche la denuncia contro le nuove costruzioni nelle colonie in Cisgiordania e le critiche al blocco della Striscia di Gaza. «Non sono disposto a ricevere lezioni basate su falsità. Soprattutto in tedesco». Alla cena ufficiale Yuli Edelstein, il presidente della Knesset, ha continuato a polemizzare con Schulz. «Le dichiarazioni inesatte che vengono pronunciate ogni giorno contro di noi contribuiscono a delegittimare Israele».
Andreas Michaelis, l’ambasciatore tedesco, ha definito irrispettosa la provocazione di Bennett, che ha lasciato capire: l’Olocausto toglie il diritto a Schulz di attaccare lo Stato ebraico. «Il presidente dell’Europarlamento è un sostenitore di Israele — ha ribadito l’ambasciatore — ed è sempre aperto al dialogo».
Nel discorso Schulz ha citato Willy Brandt («La pace non è tutto, ma senza la pace tutto è niente») e lo ha definito «il premio Nobel che combatté i nazisti tedeschi e si inginocchiò davanti al memoriale che commemora gli ebrei sterminati». A sorpresa ha ricordato anche Ariel Sharon. «Disse una frase per cui lo ammiro: “È impossibile avere uno Stato ebraico democratico e allo stesso tempo controllare tutta la Grande Israele. Se insistiamo nell’inseguire interamente un sogno, rischiamo di perderlo del tutto”».
Il partito di Bennett rappresenta i coloni che stanno ancora inseguendo quel sogno e sono contrari a un accordo di pace con i palestinesi: le terre conquistate nella Guerra dei 6 giorni devono secondo loro restare israeliane. Gli americani — rivela il telegiornale del Canale 10 — temono che Bennett e altri oltranzisti nel Likud, la formazione del premier Netanyahu, riescano a compromettere i negoziati condotti da John Kerry, il segretario di Stato americano. Dan Shapiro, ambasciatore Usa a Tel Aviv, ha ricevuto istruzioni di incontrare i rappresentati delle fazioni più estremiste.
Schulz ha visitato anche Ramallah e nel discorso ha elogiato il presidente palestinese Abu Mazen. Agli israeliani ha promesso che l’Unione Europea non metterà in atto un boicottaggio economico, se le trattative dovessero saltare. È quello che teme Yair Lapid, il ministro delle Finanze, ed è quello che temono i manager e gli imprenditori israeliani.
Il rischio di sanzioni o di perdere investimenti dall’Europa sta cominciando a preoccupare anche Netanyahu che vuole rispondere con una campagna globale di pubbliche relazioni.
Davide Frattini
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