Rischio Paesi emergenti per le banche Ue esposizione totale a 3,4 miliardi di dollari

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ROMA — La tempesta in corso in molti dei principali Paesi emergenti potrebbe non limitarsi a scuotere le Borse e a riposizionare i cambi delle valute più importanti. E non c’è neanche bisogno che una sorta di effetto- domino trasformi, come molti temono, la tempesta in un terremoto globale. Basta, infatti, una crisi concentrata in un pugno di Paesi per scavare solchi profondi nei bilanci di alcune delle più importanti banche europee, nei delicatissimi mesi degli stress test che la Bce si prepara ad effettuare sulla loro salute. A fine settembre, secondo i dati della Bri, la Banca centrale delle banche centrali, l’esposizione delle banche europee verso le economie in via di sviluppo aveva superato i 3.400 miliardi di dollari. Secondo gli analisti di Deutsche Bank, metà di questi crediti risalgono a sole sei grandi banche. Fra esse, sostiene l’agenzia Reuters, c’è l’italiana Unicredit.
In base ai conti degli analisti della Deutsche Bank, su 3.400 miliardi di investimenti fatti nei paesi emergenti, ben 1.700 sono concentrati, infatti, in sei banche. Nessuna è tedesca (ciò che forse spiega la serenità con cui alla Deutsche Bank hanno fatto questi conti) e neppure francese. La Deutsche Bank, peraltro, non fa i nomi. Ci ha pensato la Reuters. Si tratta dei due giganti spagnoli, Bbva e Santander. Delle inglesi Standard Chartered e Hsbc. Dell’austriaca Erste Bank. E dell’italiana Unicredit.
Come è nella natura di questa crisi, i rischi a cui sono esposti i prestiti concessi da queste banche non sono diffusi, ma concentrati in singoli paesi. La Turchia per Unicredit e Bbva. Il Brasile per Santander. India e Indonesia per Hsbc e Standard Chartered. Tutti Paesi che, in questo momento, traballano. Per un verso, questa concentrazione è una buona cosa, nel senso che, se il Paese in questione viene risparmiato dalla crisi, la banca ne esce senza troppi danni. Per un verso, è pericolosa: una crisi che colpisse severamente la sola economia turca infliggerebbe danni a Unicredit e Bbva, anche se la tempesta globale fosse leggera.
Che tipo di danni? Un collasso come quello dei subprime non è nelle carte. Tuttavia, bruschi aumenti dei tassi di interesse per difendere le valute, come quelli messi in campo in queste settimane nei Paesi in tempesta, possono determinare un’ondata di default fra i debitori delle banche o anche solo “incagliare”, come si dice in gergo, cioè rendere al momento non esigibili, una mole importante di crediti. Gli effetti si ripercuotono negativamente sui bilanci. Deutsche Bank calcola che un quarto dei profitti della banche europee vengano dagli investimenti nei Paesi emergenti. Ma le percentuale è assai più alta per banche come quelle citate. Standard Chartered realizza oltre il 90% dei suoi utili fra Asia, Africa e Medio Oriente. L’80% dei profitti di Bbva viene dal-l’attività in Messico. Un quarto degli
utili di Santander viene dal Brasile e un altro quarto dal resto del Sud America. Infatti, contrariamente a quanto si pensa spesso, a cavalcare con entusiasmo l’onda della globalizzazione, almeno quando si parla di banche, sono gli europei molto più spesso degli americani. Lo si era già visto all’epoca della catastrofe dei subprime immobiliari made in Usa. Lo si rivede, ora, nello sconquasso assai più contenuto dei mercati emergenti. Le banche Usa, infatti, hanno solo 800 miliardi circa di esposizione verso quei mercati, un
quarto delle banche europee. Dietro, c’è anche la crisi dell’euro e la frammentazione del mercato del credito europeo. Nonostante la moneta unica, in effetti, la tendenza delle banche europee è stata quella di evitare gli altri mercati del continente, a caccia di rendimenti e di investimenti più sicuri fuori d’Europa. I dati dicono che, ormai, i prestiti delle banche europee fuori d’Europa hanno superato quelli verso gli altri Paesi europei. Senza, parrebbe, grande fortuna.


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