Referendum svizzero. A rischio gli accordi di Schengen

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BRUXELLES. L’UE «si rammarica» per l’esito del referendum svizzero, e ha più di una ragione per farlo. La maggioranza, per quanto risicata, che ha bocciato le intese di 15 anni fa sulla libera circolazione dei lavoratori manda un doppio segnale negativo a Bruxelles.

LA MAGGIORANZA, per quanto risicata, con cui gli elettori della Confederazione hanno bocciato le intese raggiunte quindici anni fa sulla libera circolazione dei lavoratori manda infatti un doppio segnale negativo a Bruxelles. Il primo schiaffo, ovviamente, è nel merito della questione. Un milione e duecentomila cittadini europei, di cui quasi trecentomila italiani, attualmente lavorano in Svizzera. A questi bisogna aggiungere più di duecentomila “frontalieri”, pendolari che ogni giorno ne varcano le frontiere. Per popolazione, è come se fosse il ventiquattresimo stato dell’Unione, superiore all’Estonia. Questo esercito di nuovi emigrati sarà d’ora in poi sottoposto a un regime di quote su cui Bruxelles non avrà voce in capitolo.
Inoltre la cancellazione degli accordi di libera circolazione tra Ue e Svizzera comporterà la revisione di tutte le altre intese intercorse tra Bruxelles e Berna. Potrebbero saltare anche gli accordi di Schengen, che dal 2008 hanno abolito i controlli alle frontiere. E rischiano di essere riviste tutte le numerose intese che, dalla ricerca all’agricoltura, legano ormai la Svizzera al resto d’Europa. Il danno per la Confederazione potrebbe essere enorme, come avevano inutilmente avvertito partiti, sindacati e imprenditori. Ma anche per l’Ue i contraccolpi saranno sicuramente negativi.
Il secondo schiaffo che arriva dal referendum elvetico è di tipo politico. Ed è quello che fa più male. Alla vigilia di elezioni europee in cui si prevede un’onda di piena dei partiti populisti, anti-europei e anti-sistema, il voto svizzero ha fornito un assaggio eloquente di quello che verosimilmente ci aspetta. In tempi di crisi economica e occupazionale il tema dell’immigrazione è una bomba politica a orologeria che ticchetta sotto le poltrone di molti governi, inducendoli a cercare di disinnescarla con concessioni più o meno grandi. Il premier conservatore britannico ha già posto qualche limite al diritto degli altri cittadini ue di godere dell’assistenza sociale e sanitaria. Ne vorrebbe mettere di più forti, e si è già beccato dalla Commissione l’accusa di alimentare «miti populisti», ma è frenato dal fatto che la libera circolazione è un principio sancito nei trattati europei. Perfino la Merkel, in Germania, accarezza l’idea di imporre restrizioni ai benefici sociali per gli immigrati ue. E in Francia, sotto la pressione del ministro dell’interno Manuel Valls che si mette in competizione con Hollande, si sta studiando la possibilità di inasprire i controlli sui lavoratori temporanei. Non dimentichiamo che fu proprio la Francia, con la complicità di una parte dei socialisti, a bocciare la costituzione europea per l’irrazionale paura di una invasione di «idraulici polacchi».
Ma nessun governo dell’Ue, essendo vincolato dai Trattati, può permettersi di cavalcare i sentimenti xenofobi e nazionalisti come fanno invece le opposizioni populiste. Non è un caso che, da Marine Le Pen in Francia al leader dello Ukip in Gran Bretagna, dal populista olandese Geert Wilders al segretario leghista Salvini, l’estrema destra europea esulta per i risultati del referendum svizzero. La paura dello straniero, la voglia di erigere nuovi muri divisori in Europa, rischia di diventare un tema cruciale delle prossime elezioni comunitarie. E di portare nuovi consensi al fronte populista.
Del resto anche in Svizzera la quasi totalità dell’establishment si era pronunciata contro il referendum. La stragrande maggioranza dei partiti po-litici, i sindacati, le associazioni imprenditoriali, le grandi multinazionali che vivono del lavoro di quadri e dirigenti stranieri, gli economisti, i diplomatici, la Chiesa: il fronte contrario a contingentare i lavoratori immigrati era pressoché unanime. Eppure il referendum è passato ottenendo la maggioranza assoluta dei voti e la maggioranza dei Cantoni.
Se l’Europa si dovesse avviare sulla stessa strada, segnerebbe inesorabilmente la propria fine. Un continente che si è ricostruito sulle ceneri del dopoguerra proprio grazie all’immigrazione di massa e che, della libera circolazione di beni e persone, ha fatto la propria bandiera e la propria ragion d’essere, non potrebbe sopravvivere se la paura dello straniero dovesse diventare il suo sentimento politico prevalente.


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