Quando la finanza investiva nella produzione

by Sergio Segio | 14 Febbraio 2014 10:37

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In que­sto mira­colo ita­liano un ruolo impor­tante, direi deci­sivo, ebbe la finanza, che allora non era pura­mente spe­cu­la­tiva come adesso (fare denaro con denaro), ma inve­stiva nelle imprese pro­dut­tive, o, addi­rit­tura, le creava.

I pro­ta­go­ni­sti di que­sta vec­chia finanza pro­dut­tiva sono ancora ricor­dati e cele­brati. Penso a Cuc­cia, prin­cipe indi­scusso di Medio­banca, a Mat­tioli della Banca com­mer­ciale, a Meni­chella, gover­na­tore di Ban­ki­ta­lia, a Bene­duce capo dell’Iri (che oggi sarebbe quanto mai neces­sa­rio) e tra i ban­chieri di allora ricor­de­rei anche il mio amico Nerio Nesi.
Allora – ripeto – le ban­che non inve­sti­vano nelle ban­che o nei peri­co­losi deri­vati, ma nella pro­du­zione e in quella sta­gione grande fu la cre­scita di pic­cola e media indu­stria. Come non ricor­dare i nomi di imprese pre­sti­giose che oggi non ci sono più o sono emi­grate: pen­siamo solo alla Fiat. È il capi­tale finan­zia­rio quello che molti anni fa ci è stato illu­strato da Rudolf Hil­fer­ding nel suo Il capi­tale finan­zia­rio, pub­bli­cato da Fel­tri­nelli con l’introduzione del bra­vis­simo e dimen­ti­cato Giu­lio Pietranera.

Per tutto que­sto, pen­sare che la vec­chia finanza fosse buona e quella di oggi cat­tiva sarebbe sba­gliato: è cam­biata la fase sto­rica e siamo in una crisi epo­cale. È pas­sato il tempo in cui cre­sce­vano occu­pa­zione e imprese. Mon­te­ca­tini, Edi­son, Mon­te­di­son non ci sono più. Pen­siamo alle imprese auto­mo­bi­li­sti­che, alla Fiat che aveva inglo­bato Lan­cia e Alfa Romeo: tutto in Olanda e Inghil­terra. Sarebbe lun­ghis­simo l’elenco delle imprese scom­parse e delo­ca­liz­zate.
Cer­ta­mente negli anni cin­quanta e ses­santa c’era una finanza beni­gna, ma non pos­siamo cavar­cela dicendo che la finanza è diven­tata cat­tiva. Non pos­siamo chiu­dere gli occhi di fronte alla crisi glo­bale che sta inve­stendo tutta l’economia, non solo quella italiana.

Ma anche la vec­chia finanza vir­tuosa non durò a lungo. Comin­cia­rono sca­late e imbro­gli quasi delit­tuosi. Vale ricor­dare che le ban­che fran­cesi si impa­dro­ni­rono della Banca Nazio­nale del Lavoro. E, ancora peg­gio, va ricor­dato l’intervento di Michele Sin­dona e lo scan­dalo pesante del Banco Ambro­siano con la morte, a Lon­dra sotto il ponte dei Black­friars del ban­chiere Roberto Calvi.

Ma adesso che fare? Spar­gere lacrime sulla vec­chia e gene­rosa finanza non ser­vi­rebbe a niente e direi che non avremmo nep­pure i faz­zo­letti per asciu­garle. Io credo che dovremmo leg­gere la lezione del pas­sato e ricor­dare che in quella cre­scita deci­sivo fu l’Iri, cioè l’intervento dello Stato e un blocco alle pri­va­tiz­za­zioni in corso. Si tratta di affron­tare que­sta crisi con l’intervento pub­blico e con il netto rifiuto dell’austerità: aver messo in Costi­tu­zione il pareg­gio di bilan­cio è pre­clu­dersi ogni avve­nire, è delit­tuoso. Siamo in una situa­zione nella quale la con­cla­mata virtù del rispar­mio diventa una pra­tica suicida.

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