Qualche proposta per un piano del lavoro

by Sergio Segio | 7 Febbraio 2014 8:16

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Un piano del lavoro dovrebbe tenere conto dei seguenti principi.

1 — Una società inca­pace di con­net­tere la pre­senza di risorse inu­ti­liz­zate — i disoc­cu­pati– e di biso­gni insod­di­sfatti pre­senta disfun­zioni social­mente assurde. Va rista­bi­lita tale con­nes­sione, cor­reg­gendo i mec­ca­ni­smi che deter­mi­nano tale assurdità.

2 — La disoc­cu­pa­zione gio­va­nile non è altro che un aspetto par­ti­co­lare della disoc­cu­pa­zione. Mag­giore occu­pa­zione si giu­sti­fica solo se vi è mag­giore pro­du­zione di merci o ser­vizi, sia essa pub­blica o pri­vata. Esi­ste­rebbe un altro modo per occu­pare tutti: coin­vol­gere un mag­gior numero di per­sone ridu­cendo la durata del lavoro per tutti. Sull’efficacia di un tale cam­bia­mento nel lungo periodo non vi sono dubbi sto­rici. Sulla sua pra­ti­ca­bi­lità imme­diata esi­stono osta­coli, con­nessi all’internazionalizzazione, ad oppor­tu­ni­smi, a valori ed ideo­lo­gie, dif­fi­cil­mente emendabili.

3 — Atti­vità aggiun­tive in campo pri­vato pre­sup­pon­gono mag­giore domanda. Se ciò non può essere otte­nuto — dati i vin­coli euro­pei — da una espan­sione gene­ra­liz­zata a livello euro­peo, non resta che ope­rare attra­verso una mag­giore offerta da far assor­bire da sog­getti esteri (espor­ta­zioni, turi­smo), dai sog­getti ita­liani più ric­chi, dallo Stato attra­verso rimo­du­la­zioni della spesa. Sarebbe pos­si­bile e pre­fe­ri­bile otte­nere una mag­giore domanda interna da parte dei più poveri, attra­verso una redi­stri­bu­zione dei red­diti e della ric­chezza (ma que­sto è forse troppo di sini­stra per pas­sare in regime di alleanze).

4 — È pos­si­bile redi­stri­buire le opzioni di lavoro dai più anziani ai più gio­vani. Nel rea­liz­zare tali poli­ti­che occorre iden­ti­fi­care con chia­rezza le azioni discri­mi­na­to­rie, pre­oc­cu­pan­dosi di mini­miz­zarne i danni.

5 — Il resto è poli­tica sociale. Occa­sio­nal­mente si pos­sono pren­dere due pic­cioni con una fava (ma con­ser­vando chia­rezza). Sarebbe ad esem­pio una poli­tica al con­tempo eco­no­mica e sociale una poli­tica che riu­scisse a ren­dere com­ple­men­tari il lavoro dei gio­vani con l’esperienza e la capa­cità for­ma­tiva che hanno lavo­ra­tori più anziani. Impe­gni volon­ta­ri­stici in ini­zia­tive inno­va­tive è pres­so­ché indi­spen­sa­bile, visto che si tratta di ope­rare in campi nei quali mer­cato e sog­getti pub­blici — così come sono al momento — hanno fal­lito. Ma pro­prio per que­sto devono essere fatte chia­rezze. Se viene coin­volto lavoro gio­va­nile nelle atti­vità di pro­du­zione per il mer­cato, esso non deve essere sot­to­pa­gato. Se ven­gono usati pen­sio­nati la cui pen­sione supera una certa soglia, la loro par­te­ci­pa­zione non deve essere remu­ne­rata al di là dei rimborsi-spesa. Paga­menti ai gio­vani al di sotto delle remu­ne­ra­zioni di mer­cato pos­sono giu­sti­fi­carsi solo nel qua­dro di atti­vità del ser­vi­zio civile.

6 — Mag­giore atti­vità implica crea­zione pre­ven­tiva di imprese nel campo pri­vato, di task for­ces strut­tu­rate intorno a piani e pro­getti nel campo pub­blico. Nelle atti­vità aggiun­tive moderne non viene mai usato solo il lavoro. Si pensi al recu­pero del ter­ri­to­rio, dove non si lavora solo con stru­menti ele­men­tari. Esi­stono attual­mente in Ita­lia miriadi di mac­chi­nari spe­cia­liz­zati inu­ti­liz­zati, nella sfera pub­blica e nella sfera pri­vata. Occorre cen­sirli e ren­derli dispo­ni­bili, assi­cu­rando la for­ma­zione di addetti aggiuntivi.

7 — Il costo reale delle atti­vità aggiun­tive è nullo, indi­pen­den­te­mente dal costo finan­zia­rio. Se si fa lavo­rare qual­cuno nel campo pri­vato senza sot­trarre occu­pa­zione dallo stesso campo, e quindi senza per­dere occu­pa­zione nelle pro­du­zioni di mer­cato, si ha una aggiunta netta al pil. Lo stesso vale se per le atti­vità aggiun­tive si ristrut­tura il lavoro dei fun­zio­nari pub­blici in modo da non dete­rio­rare i ser­vizi ero­gati. Que­ste pro­po­si­zioni val­gono anche se spesso i metodi di regi­stra­zione del valore aggiunto non con­sen­tono nel campo pub­blico di far riflet­tere la mag­giore pro­du­zione nella con­ta­bi­lità nazionale.

8 — Per avere pro­du­zione aggiun­tiva occorre inno­va­zione e non tagli sala­riali, dai quali non ci si pos­sono atten­dere risul­tati occu­pa­zio­nali rile­vanti (le imprese non assu­mono se non pen­sano di ven­dere, indi­pen­den­te­mente dal costo del lavoro, né si può pre­ten­dere di rin­cor­rere paesi che hanno salari meno della metà dei nostri).

9 — Per avere inno­va­zioni occorre for­zare l’assunzione di mano­do­pera a più ele­vato livello di cono­scenza. Orga­niz­za­zioni che hanno mano­do­pera di qua­lità appena suf­fi­ciente a pro­durre quanto già stanno pro­du­cendo sono cie­che, inca­paci di per­ce­pire le opzioni di inno­va­zioni e di svi­lup­parle. Non è detto che solo le grandi imprese pos­sano fare ricerca; la stessa pos­si­bi­lità è aperta alle pic­cole se agi­scono in forma con­sor­tile. La ricerca deve tut­ta­via essere espli­cita, asso­ciata ad uno sta­tus par­ti­co­lare degli addetti alla ricerca.

10 — I gio­vani che non lavo­rano e che non stu­diano devono essere comun­que coin­volti e moti­vati ad agire in atti­vità che resti­tui­scano loro moti­va­zioni posi­tive. Il capi­tale umano non usato si dete­riora e non si com­pleta. I disoc­cu­pati abban­do­nati a se stessi per­dono moti­va­zioni e le loro abi­lità cogni­tive peg­gio­rano. Per essi deve restare aperta la strada del ser­vi­zio civile, tro­vando nuovi piani di coo­pe­ra­zione con sog­getti non solo del terzo set­tore ma anche pubblici.

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