«Opzione zero» o Afghanistan II? un Rompicapo (anche) per l’Italia

«Opzione zero» o Afghanistan II? un Rompicapo (anche) per l’Italia

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Franco Venturini, Corriere della Sera

Tra i molti impegni internazionali che lo attendono, il nuovo governo di Matteo Renzi sbaglierebbe a trascurare la più difficile, costosa e sanguinosa missione che l’Italia abbia condotto all’estero dalla fine della seconda guerra mondiale. Beninteso ci riferiamo all’Afghanistan, alle enormi risorse finanziarie che la nostra ultradecennale presenza ha assorbito e ai 53 morti che la guerra contro i talebani ha già provocato tra i nostri militari.
Quello in corso è per tutte le forze straniere dislocate in Afghanistan l’anno del progressivo ritiro, e anche il numero dei soldati italiani è stato ridotto agli attuali 2.300 mentre i loro mezzi, con qualche maggiore difficoltà, prendono anch’essi la via di casa. L’operazione disimpegno deve concludersi entro il 31 dicembre prossimo. Ma su questo scenario, che potrebbe esse motivo di sollievo, pesa come un macigno l’incertezza creata dal contrasto anche personale tra il presidente afghano Karzai e quello statunitense Obama.
L’America, per non rinunciare completamente alla presenza delle sue truppe e ancor più dei suoi droni in una regione strategicamente cruciale nella lotta antiterrorismo aveva previsto di lasciare in Afghanistan dopo il dicembre 2014, per due anni almeno, diecimila uomini dislocati in un piccolo numero di basi permanenti. Il loro compito sarebbe stato di addestrare il nuovo esercito afghano, ma anche di appoggiarlo su richiesta, di fornirgli copertura aerea e di continuare a colpire dal cielo con i droni i talebani riparati in Pakistan. Alcuni alleati avrebbero per parte loro inviato reparti di addestratori (la Germania si è già dichiarata disponibile, l’Italia ha ipotizzato il dislocamento di 800 uomini) e avrebbero contribuito alle spese dell’operazione Afghanistan II . Ma ora, ad appena dieci mesi dalla scadenza prevista, è tornato tutto in alto mare: Karzai rifiuta di sottoscrivere gli accordi conclusi con Washington, e ieri l’altro Obama ha ordinato al Pentagono di preparare una «opzione zero» che contempla il ritiro completo e definitivo di tutte le forze entro il 31 dicembre.
La partita a scacchi tra Washington e Kabul è ormai arrivata alle mosse finali. Karzai, seduto da anni sulle baionette straniere, tenta di recuperare una credibilità nazionalista, tratta in proprio con i talebani più moderati, utilizza lo scontro con gli Usa come cambiale per mantenere una influenza sull’Afghanistan del dopo-elezioni. Ma sa benissimo che forze americane e soprattutto aiuti occidentali saranno indispensabili al suo Paese ben dopo la fine del 2014. Obama è indignato dai voltafaccia del collega afghano, aspetta il nuovo presidente per trovare un accordo e ora alza la posta minacciando l’opzione zero. Ma sa benissimo che rimanere con un piede in Afghanistan dopo il 2014 è un interesse strategico dell’America.
Alla fine una soluzione sarà trovata, forse dopo le elezioni, forse in agosto dopo il ballottaggio, forse prima di aprile se Karzai cederà alla venticinquesima ora. Nell’attesa gli Usa proseguiranno il ritiro previsto dei 36.000 uomini ancora sul campo, continueranno a piangere i loro duemila morti, ma durante l’estate schiereranno una forza «leggera», pronta a rimanere dopo dicembre ma pronta anche, grazie alla sua mobilità, a ritirarsi entro dicembre. Il piano A e il piano B, così, si affiancheranno in attesa degli eventi. Ma per gli alleati, per l’Italia, non sarà tanto facile. Gli europei hanno capacità logistiche assai meno flessibili, hanno o avranno presto bisogno di poter contare su una chiarezza di prospettiva, necessitano del tempo richiesto dall’indispensabile approvazione prima governativa e poi parlamentare dell’eventuale prolungamento della missione a scopi di addestramento. Senza contare che una missione americana troppo ridotta (Obama ha detto che le «ambizioni» Usa diminuiranno con il passare del tempo) rischierebbe di lasciare scoperti gli addestratori alleati in una fase che già si annuncia turbolenta e ad alto rischio.
L’Italia dovrà valutare attentamente la sua partecipazione finanziaria e militare a una missione Afghanistan II, che resta probabile malgrado un calendario sempre più scomodo e il crescente furore di Obama contro Karzai. Sapendo da un lato che sarà in gioco il rapporto politico con gli Stati Uniti, e dall’altro che al di là delle liti attuali il bilancio collettivo dell’operazione Afghanistan è lungi dal somigliare a una vittoria. Le cose non cambieranno dopo dicembre: tutti sanno che il grosso delle forze armate afghane non sarà pronto, tutti sanno che talebani e nazionalisti saranno in agguato per battere, dopo i britannici e i sovietici, anche gli americani e i loro alleati. Non a caso l’opinione pubblica statunitense è per l’opzione zero, perché è stanca di guerre e forse anche perché ricorda l’incubo Vietnam.


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