by Sergio Segio | 5 Febbraio 2014 9:32
«Basta con il rigore ad ogni costo. Serve una svolta in Europa per rilanciare la crescita e l’occupazione». Giorgio Napolitano a Strasburgo, davanti all’europarlamento riunito in seduta solenne, chiede alla Ue il cambio di passo. Se no «l’Europa resta intrappolata». Ma, pur con tutti i limiti e le critiche che non risparmia, avverte che «nulla, nulla può farci tornare indietro dall’euro e dall’Unione». Ed è a questo punto, che nell’aula, si scatenano Borghezio, Salvini e qualche altro leghista, una contestazione preparata perchè spuntano i cartelli “no euro”, “euro kills”, “non sei il nostro presidente”. Urla, fazzoletti verdi sventolati, commessi all’opera, ma scatta la contro-protesta di tutto il resto del Parlamento europeo. Fischi e «buuh», i leghisti finiscono zittiti. Condannati anche dal presidente Schultz («Presidente, lei è un pater patriae dell’Europa Napolitano non fa una piega, si rivolge con un «grazie» ai contestatori, e riprende il filo del discorso. La svolta che auspica non è certo quella di una «irresponsabilità demagogica», il ritorno alle spesa pubblica allegra e al debito eccessivo.
Ma bisogna uscire da un «circolo vizioso», da sabbie mobili che bloccano la Ue sospesa oggi tra «politiche restrittive nella finanza pubblica e arretramento delle economie europee», giunta al bivio tra «i primi segni di ripresa e rischi, se non di deflazione, di sostanziale stagnazione». Non mette esplicitamente nel mirino la Germania della Merkel che finora ha menato le danze ma di certo continuare a chiedere solo sacrifici e stringere la cinghia non funziona più.
È per questo che il capo dello Stato fa intravedere anche la possibilità di rivedere il patto di stabilità, di abbattere il tabù del tre per cento: è arrivato il momento di dare «maggiore attenzione per le effettive condizioni di sostenibilità del debito in ciascun paese e, in relazione a ciò, sufficiente apertura sui modi e sui tempi dell’ulteriore riequilibrio finanziario». L’appuntamento di maggio, le prossime elezioni europee, allora saranno «il momento della verità», da affrontare «in fondo, e in tutte le sue implicazioni». Comprese le ricadute politiche nazionali per un’eventuale avanzata delle forze anti-euro, come la Lega, i grillini, per certi aspetti anche Forza Italia? La domanda gliela fanno i giornalisti, quando la seduta si è già conclusa con una standing ovation che gli riserva il Parlamento, ma Napolitano blocca sul nascere tentazioni o speranze di contraccolpi del voto di maggio sul governo Letta. «Non ci sono ripercussioni meccaniche. Se la maggioranza di governo tiene — spiega — qualunque sia il risultato delle elezioni europee non vedo la ricaduta sul governo». A meno che «non ci sia un trauma tale da spingere la coalizione a sottrarsi alla propria responsabilità, ma non vedo proprio in nome di quale obiettivo».
La protesta della Lega in aula? «Marginale, modesta. Tradizionale, direi» liquida tutto il presidente della Repubblica. Quelli che chiedono la fuoruscita dall’euro praticano una «agitazione distruttiva, fanno «propaganda ingannevole », esprimono posizioni «velleitarie e anacronistiche». Torna a farsi sentire Salvini, eurodeputato e segretario del Carroccio: «Napolitano si faccia un giro senza scorta fra disoccupati e imprenditori rovinati dall’euro, vedrà che contestazioni marginali…». Parole che indignano il Pd. Sul rapporto europeo che denuncia la corruzione, il capo dello Stato rileva le «colpe dell’Italia» ma il dossier è stato riportato dai giornali in modo distorto, «solo la parte in cui condanna il nostro paese, non quella in cui parla dei progressi fatti, come la legge Severino». Oggi l’incontro del capo dello Stato con gli europarlamentari italiani,
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