Napolitano: adesso deve parlare il Pd

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CASCAIS — L’ha detto lunedì sera a Renzi e l’ha ripetuto ieri mattina a Letta, più o meno con le stesse parole, che potrebbero essere sintetizzate così: l’incertezza sulla tenuta del governo è un elemento di per sé logorante, specialmente quando si attraversa una fase in cui non si può galleggiare… Perciò è bene che la direzione del Pd sia stata anticipata di una settimana… Serve un chiarimento in tempi stretti, perché c’è bisogno di un governo nel pieno della propria operatività.
È dunque con lo sguardo al calendario e il pensiero alle emergenze del Paese che Giorgio Napolitano si prepara a seguire il confronto che si aprirà entro ventiquattr’ore in casa del più importante partito della coalizione. Quando nel pomeriggio è partito per un vertice trilaterale (Italia, Spagna, Portogallo) con appuntamenti tra Cascais e Lisbona, era pedinato dalle voci più disparate e tutte politicamente traumatiche. Di questo tenore: 1) il presidente si sarebbe ormai convinto di dover togliere la tutela al premier e spianare la strada alla staffetta con il segretario dei democratici, dal quale avrebbe già raccolto l’agenda di programma, la rassicurazione di non rincorrere il voto e qualche cenno sui numeri di una maggioranza potenzialmente allargabile al Senato; 2) il suo recente discorso di Strasburgo, nel quale citava sullo stesso piano Monti e Letta, avrebbe dovuto essere letto come un «requiem» anticipato per l’esecutivo e, appunto, come una profezia di crisi; 3) i funzionari del Quirinale sarebbero pronti ad aprire ai cronisti la Loggia alla Vetrata, per un rapido giro di consultazioni il cui esito risulterebbe comunque scontato; 4) lo stesso capo dello Stato, una volta chiuso questo passaggio, potrebbe passare la mano e decidere di dimettersi.
«Retroscena» alimentati soprattutto da fonti renziane (almeno così li si spaccia a Montecitorio e dintorni) e che, di rimbalzo in rimbalzo, rendono arduo distinguere tra informazione e disinformazione, oblique pressioni e azzardi interessati. Insomma, ancora non si capisce se Napolitano si sia davvero convinto, come si insiste ad accreditare, che sia necessario «cambiare la batteria al governo o se basti ricaricarla», per dirla con l’ultima metafora usata da Matteo Renzi.
Un irritante vortice di illazioni nel quale il Quirinale non vuole essere inghiottito, naturalmente. Se non altro perché, a questo punto della partita, il presidente della Repubblica non può far altro che aspettare «atti politici». Cioè un certificato e adeguato sostegno dei democratici al premier oppure una sfiducia esplicita, dalla quale dovrebbe trarre le conseguenze. In definitiva, per la piega che ha preso la sfida non è Napolitano che deve dare una nuova chance a Enrico Letta, ma è lui che deve darsela da solo, «convincendo tutti», in primis il partito di cui era vicesegretario. Come ha promesso nelle scorse ore ostentando sicurezza e materializzando uno scenario che potrebbe essere definito di continuità nella discontinuità: un rimpasto non troppo ampio, in maniera da evitare l’apertura di una crisi che, se pure fosse benignamente pilotata dal Colle, lascerebbe però spazio a diverse incognite.
Non a caso, all’arrivo in serata all’albergo Pousada de Cascais, dove lo aspettano per un pranzo il presidente portoghese Aníbal Cavaco Silva e il re di Spagna Juan Carlos, ai cronisti che introducono il tema chiedendogli dei separati incontri avuti con i duellanti, il capo dello Stato risponde: «Con Letta ho parlato delle cose all’ordine del giorno dentro il governo, rapidamente perché entrambi avevamo altri impegni…». E sul resto, si insiste, dovremo aspettare le decisioni che saranno prese al Nazareno per capirci qualcosa? «Ora la parola spetta al Pd», replica con una laconica conferma.
In definitiva: il problema della sopravvivenza a Palazzo Chigi di Letta è stato posto dal Partito democratico ed è quindi il Partito democratico a doverlo risolvere. Certo, altri approfondimenti paralleli saranno nel frattempo necessari, per assicurare la tenuta dell’esecutivo e una sua incisiva capacità d’azione. Andranno sondati i partiti più piccoli della coalizione, alcuni dei quali appaiono incerti, se non già disponibili a schierarsi con Renzi.
Marzio Breda


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