Ministri e giuramento La corsa del segretario, il gelo con Palazzo Chigi

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ROMA — L’altro ieri diceva: «Ho già i numeri». Intendendo per tali, ovviamente, quelli necessari per passare in Parlamento. Il giorno dopo era ancora più ottimista. Quando Bruno Tabacci si è presentato al Nazareno per discutere con lui, si è trovato di fronte un Matteo Renzi disteso e, almeno all’apparenza, sicuro: «È fatta. C’è un unico, vero, problema: come garantire un’uscita di scena onorevole a Enrico Letta». Il leader del Centro democratico ha sorriso e ha offerto il suo suggerimento: «Noi democristiani in questi casi risolvevamo la questione con l’offerta del ministero degli Esteri». Il segretario del Pd ha contraccambiato il sorriso ma non ha lasciato capire come intenda risolvere quella che per lui e per il partito intero sta diventando una vera e propria grana.
Certo, l’iniziativa non può prenderla lui, anche se le diplomazie del leader e del premier, soffocate le rispettive tifoserie, stanno lavorando per un incontro da tenersi stamattina presto, perché i rapporti tra il sindaco di Firenze e l’inquilino di Palazzo Chigi sono a dir poco pessimi. Letta ritiene «inaffidabile» Renzi. Il quale, a sua volta, lo giudica «inidoneo» a fare il premier. Insomma, le cose stanno così. Difficile che possano cambiare. Ma è pure assai improbabile che si arrivi veramente allo scontro tra i due in Direzione. Anche perché, proprio in vista dell’assemblea del parlamentino del Partito democratico, è stato preparato un ordine del giorno da mettere in votazione e che avrebbe la stragrande maggioranza dei voti in cui si propone la nascita di un nuovo e solido governo in grado di accompagnare la stagione delle riforme. Prima di arrivare a tanto, dunque, si troverà una soluzione. Alla democristiana o meno.
Nel frattempo Renzi sa che la sua unica alleata è la velocità con cui si muove. Perciò ha preso in contropiede Letta e prima che il presidente del Consiglio potesse lanciare un appello ai parlamentari del Partito democratico per cercare di uscire dall’angolo li ha riuniti ieri mattina e li ha convinti quasi tutti. Solo i bersaniani di stretta osservanza, come Nico Stumpo, diffidano ancora delle mosse del leader e sembrano aver capito che l’idea di mandarlo a Palazzo Chigi per toglierlo dal partito non è stata una grande mossa, dal momento che Renzi, se dovesse diventare premier, manterrebbe anche la carica di segretario. Al Nazareno ci sarebbe un vice, probabilmente Lorenzo Guerini, come reggente.
Ma è al governo, adesso, che il sindaco pensa già. Meditando di bruciare le tappe. Lui vorrebbe addirittura arrivare al giuramento domenica sera, lunedì al massimo. La squadra dei ministri, nella sua testa, l’ha già pronta. Il Nuovo centrodestra uscirà ridimensionato: niente più Interno e Infrastrutture. Non ci sarà più un vicepremier. Vi saranno personalità che non hanno a che fare con la politica e dei dicasteri «verranno accorpati per consentire il risparmio di alcune centinaia di milioni». Circolano già addirittura i primi nomi dei possibili ministri. L’Interno andrebbe a Graziano Delrio. Nella compagine governativa entrerebbe anche l’amministratore delegato di Luxottica Andrea Guerra, che di Renzi è buon amico e il cui nome il sindaco di Firenze aveva suggerito anche a Letta, quando doveva mettere in piedi il suo esecutivo nell’aprile scorso. Potrebbe essere lui il ministro dell’Economia. Ma per quel dicastero si fanno anche altri due nomi: quelli di Lorenzo Bini Smaghi e di Pier Carlo Padoan. C’è ancora un altro nome che circola e che non dispiace a buona parte dei gruppi parlamentari di Sel, anche se è ovvio che, almeno in un primo momento, semmai il governo Renzi dovesse vedere la luce, il partito di Vendola non gli voterebbe la fiducia. Si tratta del nome dell’ex ministro della Coesione territoriale Fabrizio Barca.
Ci saranno anche dei politici, naturalmente, ma sarà essenzialmente il governo di Renzi, non un governo legato alle contingenze delle ristrette intese, piuttosto l’inizio del nuovo corso politico che il segretario del Pd intende intraprendere con la coalizione che verrà. Ossia quella del futuro, che non avrà certo al suo interno il Nuovo centrodestra, bensì Sel e, forse, anche alcuni ex grillini. Per questo lungo la strada della legislatura cercherà di infittire i rapporti con questi gruppi. Nello schema che vede Renzi a Palazzo Chigi, comunque, il leader del Pd si candiderebbe anche alle Europee, per cercare di trascinare il Pd.
Ma se tutto questo non dovesse accadere? Pazienza, dice lui, «l’obiettivo non è decidere le carriere, coltivare il proprio orticello, ma disegnare quale deve essere il progetto per portare gli italiani fuori dalla crisi».
Maria Teresa Meli


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