Matteo Renzi manda a casa Enrico Letta Le dimissioni domani al Quirinale
«Non è un derby», non è una sfida «caratteriale» tra lui e Letta. «È un bivio» dice Renzi alla direzione del Pd, quello davanti al quale si trova il partito: «e io vi propongo di percorrere la strada meno battuta». La metafora si traduce semplicemente. Letta deve andare a casa, perché serve un «cambiamento radicale». Con 136 sì e 16 contrari, il Pd approva la fine del governo Letta. Lo spirito è quello di chi non riesce ad intravedere un’alternativa valida. Le elezioni sarebbero sì «piene di fascino», ma senza aver fatto la riforma elettorale, ha detto Renzi, «non garantiscono la vittoria». Quindi tanti ringraziamenti a Enrico «per il lavoro svolto in un momento particolare», e arrivederci. Letta capisce, annulla la visita istituzionale a Londra, prevista per fine mese, e annuncia che domani salirà al Quirinale per le dimissioni.
Pubblicazione di Enrico Letta .
Niente voto, dunque. Soprattutto perché Renzi ha detto che sul punto decide Napolitano, e il presidente della Repubblica ha già fato sapere che al voto non si va («Elezioni? Non diciamo sciocchezze»). Meglio, come dice Renzi, «un percorso di legislatura», «difficile» certo, «perché il parlamento ha mostrato i suoi limiti», ma che si ponga «l’obiettivo del 2018 con in mezzo il tentativo di cambiare le regole del gioco».
Il segretario Pd, aprendo la direzione del partito, ha letto il documento che propone il voto all’assemblea chiedendo le dimissioni del presidente del Consiglio
Gianni Cuperlo, per la minoranza, chiede allora «l’apertura di una crisi formale», ma più formale di così è difficile. Renzi è deciso. Ha valutato i rischi e ha scelto di «rischiare». «Le mail che ho ricevuto in questi giorni» ha raccontato, «sono piene di toni protettivi. Mi scrivono “attento che ti bruci”». Ma lui lo sa, ovviamente, ma sa anche che «chi fa politica ha il dovere di rischiare. Se non avessi rischiato sarei ancora presidente della provincia di Firenze».
Insomma, Renzi non nega l’ambizione. Anzi: «C’è un’ambizione che ciascuno di noi deve avere», dice concludendo il suo intervento, «pensare che l’Italia non può vivere nell’incertezza, nei tentennamenti, nell’instabilità». Il ritratto è per Letta, che però non si deve offendere: «il cambiamento profondo che proponiamo non suoni come una polemica con chi ha vissuto il periodo del governo di servizio». No. Molto semplicemente, «se l’Italia chiede un cambiamento, questo o lo esprime il Pd o non lo fa nessuno».
Con la direzione Pd ancora in corso, arrivano le prime reazioni. Gli alfaniani sono andati da Letta a Palazzo Chigi per capire cosa fare. Scelta Civica sembra contenta: «Chiedevamo chiarezza al Pd e chiarezza abbiamo avuto», dice la segretaria Stefania Giannini.
Forza Italia, un po’ come Cuperlo, pensa non sia «sufficiente la riunione della direzione di un partito per interrompere la vita di un governo», e che quindi, dice il presidente dei senatori Paolo Romani, Napolitano dovrebbe «prendere atto che il segretario del partito maggiormente rappresentato in parlamento ha confermato l’intenzione di non sostenere più l’attuale compagine governativa» e «invitare l’attuale presidente del consiglio a presentarsi alle camere». Cosa che, ovviamente, il Pd vuole evitare.
Una domanda, però, gira nella direzione del Pd. Perché Renzi dovrebbe riuscire dove Letta ha fallito? Giuseppe Civati lo dice nel suo intervento: «Non capisco perché cambiando premier dovremmo riuscire meglio». «Cosa cambierebbe se la maggioranza è la stessa?», si chiede retorico Civati, che infatti annuncia voto contrario al percorso indicato dal segretario: «con rispetto per la scelta politica, ma voto contro».
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