L’Unione europea vuole il dialogo con Cuba
L’Unione europea ha formalmente inviato al governo dell’Avana la proposta di intavolare trattative per un Accordo di dialogo politico e di cooperazione. Nei fatti si tratta di negoziare un nuovo trattato bilaterale con l’isola che butti dietro le spalle la cosidetta “Posizione comune”, una linea che subordinava le relazioni bilaterali (politiche, economiche e commerciali) dell’Unione alle critiche che la destra europea –il premier spagnolo Aznar in primis– rivolgeva al governo cubano riguardo al rispetto dei diritti umani. Le critiche si riferivano principalmente allo stato della libertà di espressione e associazione, ignorando altri aspetti dei diritti umani – scuola e sanità gratuite, ad esempio– per i quali Cuba era ben più avanti di altri paesi partner dell’Ue.
Come era accaduto – e continua a verificarsi– per il cinquantennale embargo unilaterale stabilito dagli Stati uniti, anche la “Posizione comune” non è servita a muovere di un solo millimetro il governo di Cuba dalle proprie posizioni. E se nell’isola da più di tre anni sono in corso riforme del modello socio-economico (socialista), con un inizio di aperture alla proprietà privata e all’economia di mercato come contraltare alla riduzione del ruolo onnipotente dello Stato, se sono stati aperti alcuni spazi alla società civile – specie quella legata alla Chiesa cattolica-, se si prepara una nuova legge sugli investimenti esteri che apra nuovi spazi al capitale straniero, tutto questo è stato per scelta e decisione autonoma del partito comunista e del governo cubano sotto la presidenza di Raúl Castro.
Non solo, anche l’isolamento che Cuba ai tempi della Posizione comune (1996) doveva subire a livello del subcontinente latinoamericano, ispirato, se non imposto, dagli Stati uniti è ormai acqua passata. Il recente vertice dell’Avana della Comunità degli Stati latinoamericani e dei Caraibi (Celac) ha dimostrato che la situazione è radicalmente cambiata: ospiti del più giovane dei Castro erano non solo più di trenta tra capi di Stato e di governo della regione, ma anche il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon e il segretario dell’Organizzazione degli Stati americani (Osa), organismo dal quale Cuba era stata espulsa nel 1962 per iniziativa Usa. E chi non era invitato – Stati uniti e Canada– era assai attento a quello che accadeva nella capitale cubana. E con ragione, visto che la piattaforma dell’Avana prevede che la priorità dei governi del continente, siano essi di sinistra o di destra, è, e sarà almeno per il prossimo decennio, crescere in maniera sostenibile, con una distribuzione più equa della ricchezza tra classi e territori: terreno nel quale Cuba ha una posizione e — come afferma un analista «un’aureola», che la pone come referente. Piattaforma che, come si vede, differisce dalle ricette neoliberiste che costituiscono la base dei trattati che legano gli Stati uniti con alcuni paesi latinoamericani.
Inoltre, due grandi paesi, Brasile e Messico, hanno assunto un ruolo quasi da fratello maggiore che fa la guardia per garantire un ambiente non conflittuale attorno a Cuba – in riferimento alla questione dei diritti umani– oltre che a investire nello sviluppo dell’isola. Posizione non condivisa da altri stati latinoamericani, ma di fatto accettata perché oggi a tutti serve disporre di uno spazio (la Celac) in cui poter, in maggior o minor grado e secondo il momento, marcare una distanza dagli Usa. Un segnale questo di volontà di autonomia dal centro imperiale nordamericano che gli Usa hanno avvertito con chiarezza, tanto da reagire proprio in questi giorni tentando di chiamare a raccolta i propri alleati dell’Alleanza del Pacifico (Cile, Perù, Colombia, Messico, Costa Rica).
Proprio il Brasile della presidenta Dilma Roussef e il Messico ritornato a guida Pri con il presidente Enrique Peña Nieto sono stati accusati dall’opposizione cubana di aver aiutato i Castro a «calpestare i diritti umani» nell’isola, visto che, secondo denunce fatte da militanti e organismi dell’opposizione, sono stati fermati «centinaia di militanti» nei giorni del vertice dell’Avana. Il tema del rispetto della libertà di associazione e di espressione nell’isola è stato affrontato da Ban Ki-moon – almeno cosi ha dichiarato il segretario generale dell’Onu– e da alcuni altri capi delegazione latinoamericani in incontri bilaterali con Raúl Castro, ma mai messi «nel piatto» nella sessione plenaria.
Si tratta indubbiamente di una posizione molto pragmatica più che opportunista –o cinica, secondo le accuse provenienti dagli Usa– di chi pensa che un sostanziale aiuto ad aprire spazi per la libertà di associazione e espressione politica a Cuba venga da una politica che aiuti l’isola a svilupparsi e aprirsi agli investimenti e mediante un dialogo con il governo e non sostenendo posizioni conflittuali che, come chiede Washington, mirano in primis ad abbattere.
Linea questa che è sostenuta dalla Chiesa cattolica cubana, istituzione che ha un concreto spazio di intervento autonomo dal governo — un collegio che di fatto è un’università, corsi di preparazione di quadri in management e economia, due riviste “politiche”, decine se non centinaia di bollettini parrocchiali. «A Cuba non vi sarà una primanera araba, ma una transizione alla cubana centrata sul dialogo con il governo», hanno ripetuto nei giorni scorsi a Madrid Roberto Veiga e Lenier González, direttore e vicedirettore di Espacio laical, rivista che ospita interventi non solo di intellettauli cattolici, ma anche di elementi di spicco del partito comunista, oltre che contributi di cubano-americani.
Se anche la diplomazia dell’Ue, guidata da Catherine Ashton, intavolerà le trattative con Cuba sul binario del pragmatismo vi sono pochi dubbi che si potrà arrivare a un nuovo trattato bilaterale Ue-Cuba, basato su reciproci interessi economici e che , sostenendo le riforme in corso nell’isola, aiuti ad aprire nuovi spazi alla società civile cubana e ai diritti umani. Su questo terreno, ovvero mediante «un dialogo politico senza discriminazioni e basato sul rispetto dell’uguaglianza e della sovranità degli Stati e sul principio di non ingerenza negli affari Interni» il governo cubano si è detto disponibile a iniziare trattative.
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