L’ipotesi del cambio resa meno indigesta dalla paura delle urne

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La sensazione è che le dimissioni di Letta siano questione di ore. Una crisi nata e consumatasi tutta all’interno del maggior partito della sinistra si avvierebbe verso un epilogo controverso: anche perché Renzi aveva sempre sostenuto di non voler diventare premier senza una legittimazione delle urne. La pressione dei seguaci, però, ha vinto le sue resistenze residue. E la frustrazione degli alleati di Letta, Nuovo centrodestra in testa, rende l’operazione verosimile.
Ritenendo di anticipare l’esito dello scontro nel Pd, ciò che resta di Sc, il partito di Mario Monti, chiede le dimissioni del governo. Al Quirinale, Giorgio Napolitano si prepara a prendere atto della volontà delle forze della coalizione. Ma vuole evitare qualunque strappo. Il tentativo del premier di rilanciare in extremis il suo patto per il 2014 indica la volontà di resistere, presentandosi in Parlamento. La riunione del Pd fissata da Renzi per domani promette però di trasformarsi in una sentenza di crisi contro un esecutivo «con le batterie scariche», nelle parole liquidatorie del segretario; e di fare apparire il rilancio di Letta tardivo, di fronte a manovre che stanno saldando interessi economici e politici.
Il dualismo tra leader del partito e premier, d’altronde, ha prodotto una conflittualità e un immobilismo rischiosi. Quella che è stata chiamata «staffetta» rappresenta l’esigenza di stabilizzare il Pd, rispecchiando il nuovo equilibrio di potere interno; e di dare vita a un esecutivo con gli stessi alleati di adesso e con la speranza di voti aggiuntivi del Sel e di qualche frammento del Movimento 5 Stelle. È probabile che si tratti di uno scenario prematuro, sebbene l’idea di un passaggio delle consegne a Palazzo Chigi stia già facendo riaffiorare qualche tensione tra i parlamentari di Beppe Grillo.
Il problema della legittimazione di Renzi, che arriverebbe a Palazzo Chigi senza passare per un voto anticipato, anzi scansando le urne per almeno un anno, potrebbe essere scavalcato grazie alle Europee. Se a maggio le elezioni continentali dovessero «benedire» la leadership renziana, in qualche modo l’operazione scattata in questi giorni avrebbe la sanzione popolare che il leader del Pd cerca; e della quale aveva fatto una condizione per andare al governo. Rimane da capire quale sarebbe la missione di un nuovo governo; quale scadenza si darebbe; e che fine farebbe l’asse con Silvio Berlusconi. Dalle prime reazioni di Forza Italia, Renzi al posto di Letta non piace.
Tra l’altro, il centrodestra sottolinea che si tratterebbe del terzo presidente del Consiglio in tre anni, designato senza essere stato indicato dagli elettori. La critica può diventare un argomento di campagna elettorale, ma non è detto che anticipi anche una rottura del patto sulle riforme. Dipenderà dalle alleanze che prenderanno corpo, e dal compromesso che le sosterrà. Il fatto che la stessa minoranza del Pd non veda male un nuovo governo si spiega con la voglia disperata di evitare le elezioni; e di scongiurare un sistema elettorale destinato a sgominare le opposizioni ai leader. Insomma, in bilico non è solo Letta ma anche la rete con la quale i suoi avversari lo hanno accerchiato nelle ultime settimane. Le prossime ore permetteranno di giudicare se un Pd diviso è in grado di offrire al Paese una soluzione, o solo le sue contraddizioni.


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