La vera scommessa: durare fino al 2018

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ROMA — Le primarie come surrogato delle elezioni, la direzione di un partito come sostituto del Parlamento: la guerra lampo di Renzi per impadronirsi di Palazzo Chigi non lascia in macerie solo un Pd che agli occhi di Letta ha dato ieri uno «spettacolo agghiacciante». E si vedrà se lo scontro alla lunga allargherà il solco dentro un gruppo dirigente al momento annichilito, di sicuro il premier in pectore avrà un unico modo per assorbire l’edema che si è creato anche con l’elettorato di riferimento, come raccontano i sondaggi: Renzi dovrà vincere la sua scommessa, durare fino al 2018, riuscire cioè nell’impresa di guidare un governo di legislatura, contro cui già puntano Grillo e Berlusconi.
Qualsiasi scorciatoia — compresa magari la furbizia di scaricare su altri un’eventuale futura crisi di governo per andare anzitempo alle urne — lo consegnerebbe al fallimento, alla profezia che D’Alema fece qualche settimana fa riferendosi al sindaco di Firenze: «Ne ho viste tante di meteore in politica». Renzi invece si propone con un disegno «ambizioso» e non c’è dubbio che per concretizzarlo proverà a consolidarlo con la forza dei numeri, allargando cioè la maggioranza in Parlamento. Le manovre a sinistra di un pezzo di Sel (e anche dei grillini dissidenti) assomigliano a prove generali, sebbene Renzi ieri si sia rivolto alle sole forze che hanno appoggiato Letta per ottenere la fiducia. Non poteva fare altrimenti, anche perché non può riprodurre lo stesso schema con cui Bersani provò a diventare premier e che fu dileggiato dall’attuale segretario del Pd.
Ci sarebbe però un’altra opzione: aggregare l’area berlusconiana. Se è vero che con Forza Italia ha stretto un patto per le riforme, l’intesa potrebbe produrre altri effetti in futuro. Certo non adesso. Per ora lo stato maggiore azzurro pare spiazzato dal blitzkrieg di Renzi e oggi si mostra evidente come il famoso incontro con il Cavaliere nella sede del Pd sia stata una vittoria del capo democrat, che è riuscito a «usare» Berlusconi come solo Berlusconi era stato capace di fare con i suoi avversari di un tempo: D’Alema e Veltroni. La linea di «opposizione responsabile» proposta da Bondi per Forza Italia è la trincea oltre la quale gli azzurri non possono andare. Ma cosa accadrà da aprile in avanti, quando il leader del centrodestra entrerà nel cono d’ombra provocato dagli effetti della sentenza sul «caso Mediaset»? Che conseguenze produrrà su un partito a trazione carismatica? Ecco cosa significava al fondo la battuta fatta l’altro ieri da un autorevole dirigente forzista: «Chi l’avrebbe mai detto che ci saremmo ritrovati a fare il tifo per Letta…».
Ma Letta è caduto e un giorno si capirà quanto ha inciso l’offensiva di Confindustria (dove siedono anche le aziende pubbliche), che già influì sulla caduta di Berlusconi e sul logoramento di Monti. Ora avanza Renzi e la sua scommessa è durare. Ci riuscisse, muterebbe la geografia politica e si compirebbe a quel punto il ricambio generazionale. Ecco perché anche Alfano è interessato alla partita, convinto così di riuscire nell’impresa che anche ieri ha ripetuto: «Vogliamo innovare il centrodestra». Ma l’operazione per il leader di Ncd è in partenza assai rischiosa. Non solo e non tanto per l’accusa di «tradimento» che i forzisti agitano a fini elettorali. In prospettiva un allargamento della maggioranza creerebbe seri problemi ai «diversamente berlusconiani», che già devono evitare l’insidia semantica di chi nel Pd parla del gabinetto Renzi come di un «governo politico». «Non entreremmo mai in un esecutivo di sinistra o centrosinistra» ha detto ieri Alfano. E come lui anche l’Udc e i Popolari per l’Italia di Mauro avvisano che «si può cambiare il premier ma non la natura del governo», che era e resta «di emergenza» e «per le riforme».
La questione non è (solo) nominale, anticipa la trattativa sul programma che per Ncd vale più degli incarichi ministeriali. È evidente che Renzi e Alfano abbiano affrontato il problema in questi giorni, ma nel momento della stretta per la nascita del governo si impone per il Nuovo centrodestra di fissare i confini della maggioranza e del programma. Può darsi che anche di questo abbia parlato ieri Alfano in via preliminare con il capo dello Stato. E se Schifani si è incaricato di sottolineare che «con Sel noi siamo e saremo sempre alternativi», Quagliariello — probabile coordinatore di Ncd — da giorni spiega che l’accordo si potrà fare «solo con un patto alla tedesca». Un patto rigido, su cui si è soffermato Alfano: «Stavolta siamo noi a pretendere il foglio excel», evocato a suo tempo da Renzi con Letta. Su quel foglio andrà scritto «cosa fare e chi lo dovrà fare». Se questa barriera dovesse cedere, Ncd verrebbe travolto. Altrimenti si candiderebbe a partecipare alla costruzione del nuovo centrodestra.
Francesco Verderami


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