by Sergio Segio | 14 Febbraio 2014 10:08
La crisi dei mercati finanziari anglosassoni del 2008 ha confermato l’analisi degli economisti “critici” – come Minsky – che sulla scia della Teoria Generale di Keynes del 1936 hanno denunciato l’innata tendenza all’instabilità delle economie di mercato capitalistiche.
Estirpare tale tendenza, eliminare alla radice le forze destabilizzanti è in siffatte economie impossibile. Prevedere quando e come avverrà la prossima crisi finanziaria è arduo. Il meccanismo delle crisi è strutturale, quindi ripetitivo, ma le loro forme fenomeniche, storiche, sono sempre diverse in ragione della continuità dell’innovazione finanziaria e della molteplicità di occasioni che si offrono alla speculazione più azzardata.
Dopo il 2008 sono state configurate nuove regole per la finanza negli Stati Uniti, nel Regno Unito, nell’Unione Europea, in altri paesi. Seppure necessarie, le regole – obblighi, divieti – incontrano limiti. Sono condannate a inseguire l’innovazione finanziaria, che inevitabilmente sfugge al legislatore e che è ineliminabile e per più versi utile. Vi sarà sempre un sistema finanziario “ombra”, non regolamentato.
Va quindi riscoperta, valorizzata, la discrezionalità amministrativa e tecnica delle istituzioni chiamate a vigilare sulla finanza, in particolare la discrezionalità delle banche centrali. Prima del 2008 essa era stata ridimensionata, non essendo gradita ai finanzieri, venendo sottovalutata dall’ortodossia neoclassica dei mercati “perfetti”, essendo riguardata con sospetto dal potere legislativo e dal potere giudiziario, che temono l’arbitrio del supervisore. La banca centrale, presente sul mercato, può invece intervenire più prontamente e con maggiore efficacia, così corroborando le regole.
Su questo fronte l’esperienza drammatica del 2008 sta inducendo a un ripensamento. Nuovi compiti di supervisione discrezionale vengono attribuiti alla banca centrale (Stati Uniti, Unione europea) o ad essa restituiti (Regno Unito).
È una tendenza da riguardare positivamente.
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