La partita delle aziende pubbliche primo tassello del potere renziano

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ROMA — C’è chi sente un sapore antico. E ricorda la fine del governo di Giovanni Goria, che fu costretto a passare il testimone al segretario della Dc Ciriaco De Mita dopo otto mesi e mezzo. Certo, il contesto era assai diverso per mille motivi. Incluse le aspettative di Matteo Renzi. Il quale dovrà comunque fare i conti con problemi mai passati di moda dai tempi di De Mita. Le nomine pubbliche, per dirne una.
Nella prima Repubblica si decideva tutto nelle segreterie dei partiti, manuale Cencelli alla mano. E se nella seconda Repubblica le privatizzazioni hanno cambiato molti di quei vecchi rituali, la politica non ha smesso di condizionare le nomine nelle aziende di cui lo Stato continua a restare azionista di riferimento. Ogni partito continua ad avere il suo plenipotenziario incaricato di gestire le trattative, e nessuno ha finora rinunciato a utilizzare le imprese pubbliche come ufficio di collocamento per ex onorevoli in disarmo.
Proprio qui viene il punto. Un governo Renzi avrà un compito decisivo. Sarà il primo esecutivo di centrosinistra, dopo la bellezza di 12 anni, a poter decidere le nomine dei vertici delle grandi imprese pubbliche come Enel, Eni, Finmeccanica e Poste italiane. Nel 2008 il governo Prodi avrebbe potuto interrompere la sequenza degli incarichi targati centrodestra, ma si era già in piena campagna elettorale e tanto il premier quanto il ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa convennero correttamente di lasciare la decisione all’esecutivo che sarebbe nato di lì a poco. A Palazzo Chigi tornò Berlusconi e tutti i vecchi manager restarono al loro posto. Per essere poi ulteriormente riconfermati nel 2011.
Paolo Scaroni è in sella dal 2002. Dopo un triennio alla guida dell’Enel è passato all’Eni, dove occupa il posto di amministratore delegato da nove anni. Tanti quanti ne ha passati Fulvio Conti sul ponte di comando dell’Enel. Massimo Sarmi sta invece concludendo addirittura il suo quarto mandato consecutivo. Dodici anni ininterrotti al vertice delle Poste. Affiancato negli ultimi sei dal presidente Giovanni Ialongo, sindacalista Cisl, ex capo dell’Istituto postelegrafonici e attualmente presidente di un’altra azienda pubblica, Sispi, controllata dall’Inps.
Alessandro Pansa è invece soltanto da un anno amministratore delegato della Finmeccanica, azienda reduce da un periodo a dir poco turbolento. E nella quale l’unica novità recente (Pansa era stato a lungo direttore finanziario e poi direttore generale) è stata la nomina come presidente dell’ex capo della polizia ed ex sottosegretario di Mario Monti, Giovanni De Gennaro. Per non parlare delle bandierine che destra e sinistra erano abituate a piantare, numerose, nei consigli di amministrazione. Un esempio per tutti: fra gli amministratori della Finmeccanica è stato confermato nel 2011, come rappresentante del Tesoro, il presidente leghista della Provincia di Varese Dario Galli, ex parlamentare del Carroccio.
Tanto basta perché questa partita, gigantesca per le sue implicazioni, rappresenti per il futuro governo un banco di prova determinante. Renzi può continuare sulla strada tracciata. E allora potremo magari assistere a qualche conferma, qualche giro di valzer e qualche nomina renziana. Il tutto, ne siamo sicuri, assistito da poderosi curriculum. Dell’ex potente presidente dell’Inps Antonio Mastrapasqua, per esempio, già si prefigurava il trasloco alle Poste. Con Sarmi dirottato magari all’Enel e Conti spedito all’Eni, dove lo statuto limiterebbe a tre i mandati dell’amministratore delegato.
Oppure il sindaco di Firenze può scegliere di voltare pagina. Il deputato del Pd Angelo Rughetti, ex segretario generale dell’associazione dei Comuni, considerato uno degli uomini più vicini a Renzi, ha proposto per esempio in un suo articolo sull’Huffington Post che la valutazione dei risultati manageriali, già in corso a cura degli esperti nominati dal ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, non sia limitata ai semplici dati economici ma venga estesa anche alla qualità dei servizi. Affidandola per esempio a un gruppo di valutatori di cui facciano parte i rappresentanti dei consumatori. Ma c’è di più. Lo stesso Rughetti sostiene la necessità di introdurre, accanto alle disposizioni con cui il ministro dell’Economia ha stabilito criteri di professionalità e di incompatibilità per i manager pubblici (sui quali si è placidamente sorvolato in occasione della precedente tornata di nomine) il principio della rotazione degli incarichi. Se applicato, nessun manager potrebbe ricoprire una poltrona la cui designazione spetta all’azionista pubblico per più di due mandati. Il che metterebbe automaticamente fuori gioco Scaroni, Conti, Sarmi e anche l’amministratore delegato di Terna Flavio Cattaneo, anch’egli in scadenza. Nonché un lunghissimo elenco di consiglieri d’amministrazione frequentatori delle porte girevoli pubbliche…
Sergio Rizzo


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