La legge shock del Belgio eutanasia anche per i bambini

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 La legge belga, cui si sono opposti soprattutto i responsabili religiosi, cattolici (la confessione prevalente) e altri cristiani, musulmani ed ebrei, mentre più del 70 percento dei cittadini le si dichiarava favorevole, stabilisce che l’eutanasia si applichi a minori con malattie terminali, sofferenze «costanti e insopportabili» (fisiche, e non anche solo psichiche, come per gli adulti) e una prognosi di morte prossima; che siano in grado di discernere nella propria decisione — facoltà che va accertata da psicologi e psichiatri; e per i quali ci sia il consenso dei genitori. Condizioni, dichiarano i sostenitori della legge, che impediscono errori e abusi, e rispondono a una sollecitudine “umana”. Gli avversari della legge — più forti fuori che dentro il Belgio, paese “secolare” come pochi, che ha visto crollare la pratica religiosa e il prestigio della gerarchia cattolica, specialmente per lo scandalo della cosiddetta pedofilia — avanzano argomenti diversi.
La legge, dicono alcuni pediatri e specialisti, è il frutto superfluo di un accanimento ideologico, perché nessun bambino e nessuna famiglia ha mai chiesto il ricorso all’eutanasia. L’argomento, anche ammesso che non abbia eccezioni, ha un’efficacia relativa, dal momento che un cambio nella casistica riproporrebbe intatto il problema. Altri, con rilevante autorevolezza scientifica, protestano che le cure palliative sono oggi in grado di rendere sopportabili le sofferenze, che il problema è dunque di assicurarle pienamente a tutti, e che grazie a esse «i piccoli in fin di vita possono avere ancora momenti privilegiati coi loro genitori, foss’anche una sola ora al giorno… ». L’argomento è fondato benché controverso quanto alla sua assolutezza: la legge parla di sofferenze che «non possano essere placate». Ancora, si obietta alla «capacità di discernimento» circa la volontà di morire di quei minori che in diversi campi civili si ritengono irresponsabili di sé fino alla maggiore età. Argomento ispido e greve di contrasti: la tutela necessaria — sacra, diciamo — dei minori è sempre esposta a diventare derisione o sottovalutazione della loro intelligenza e libertà. Fra i medici e gli psichiatri fautori della legge, si sottolinea che «in casi di morte prossima, i minori sviluppano velocemente un forte livello di maturità». Orrendo lessico e constatazione ragionevole, ma lo è anche l’opposta, e non solo per i minori, che l’incombenza della morte sconvolga i criteri ordinari di maturità.
Su scelte così drammatiche pesa tremendamente e ineludibilmente il passato. L’eutanasia infantile fu un capitolo mostruoso dell’eugenetica nazista, estesa a una gamma infinita di disabilità, deformità, debolezze, inferiorità e insomma “vite indegne di essere vissute”. Ma l’aberrazione eugenetica aveva preceduto il nazismo, si era immaginata come l’avanguardia del progressismo scientifico, e sarebbe sopravvissuta alla fine del nazismo, com’è noto, anche in paradisi socialdemocratici come i paesi scandinavi, o negli Stati Uniti. I fautori della legge belga protestano inorriditi a quel richiamo, com’è comprensibile. All’altro capo, gli avversari “assolutisti” della legge, se così si possono chiamare, religiosi e non solo, sono anche i nemici giurati della depenalizzazione dell’aborto o gli impositori dell’idratazione forzata a persone adulte e capaci di discernere e di comunicare la propria volontà.
Il Consiglio d’Europa è contrario alla legge belga, protesta che i bambini non siano nelle condizioni necessarie al consenso informato. In Italia, benché sia notoria la propensione di una maggioranza di cittadini all’eutanasia, una discussione seria e informata è ancora evitata con cura, per una preoccupazione sincera o per ipocrisia bigotta. Basta ripercorrere la vicenda del “fine vita”. Di fronte a un tema tremendo come quello dell’eutanasia per i bambini — e il suo tremendo sottocapitolo, dell’eutanasia neonatale — conviene intanto fermarsi. Non perché l’astensione dal giudizio esima da una responsabilità che fa paura: si è altrettanto responsabili per azione che per omissione. Ma il passo compiuto dal parlamento belga è troppo oltre la nostra comune “capacità di discernimento”. Forse proprio il confronto con la prepotenza aberrante di quella legge incostituzionale sulla nutrizione e l’idratazione forzata, che doveva spaventare e indignare più di ogni record dello spread, può suggerire una prima trincea.
Ci sono situazioni estreme e singolari, ognuna delle quali fa storia e tragedia per sé, che bisogna rinunciare a definire per legge. Le leggi accomunano i casi cui si applicano, li spogliano della loro eccezionalità e della loro sfera peculiare. Si dice che medici e infermieri facciano “clandestinamente” ciò che la legge vieta. È vero, ma questa è ipocrisia o, peggio, violenza, quando investe condizioni sociali vaste se non enormi: è così per l’aborto clandestino, per l’accanimento nel fine vita, la negazione del diritto del malato a decidere delle proprie cure. In Olanda, tra il 2002, quando è entrata in vigore la legalizzazione, l’eutanasia è stata applicata a cinque minori (abbiamo visto, sopra i 12 anni). Mentre fra gli adulti i casi di eutanasia vanno dai 2000 ai 4000 all’anno. In Belgio, dove sono più di 1000 fra gli adulti, fra il 2006 e il 2012 essa si è applicata a un solo adulto minore di 20 anni.
Una posizione come questa, che può sembrare opportunista o addirittura vile — si può essere vili del resto, e indietreggiare, di fronte a responsabilità simili — costringe al contrario, una volta che si accetti di misurarsi davvero con i problemi di vita e di morte, e di non affidarsi alle spalle coperte dei principii assoluti né al commento estemporaneo di scelte altrui, a conoscere la questione e riconoscere se stessi. E ammettere che tanti di noi, quasi tutti noi, alla fine, più o meno da vicino, li affrontiamo già questi problemi, e quello che le leggi regolano o ignorano non è quasi mai la soluzione, e molto spesso l’ostacolo. Dove la legge si ritira, resta il campo alla brutalità o alla compassione. Affare nostro, di ciascuno di noi.


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