La Fini-Giovanardi a Corte: un appello

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Non è così. Si incro­ce­ranno a Palazzo della Con­sulta, la pros­sima set­ti­mana, quando la Corte costi­tu­zio­nale misu­rerà la legit­ti­mità delle modi­fi­che intro­dotte nel 2006 al testo unico sulle dro­ghe: la cosid­detta legge Fini-Giovanardi.

La quae­stio ha molto a che fare con l’abuso della decre­ta­zione d’urgenza. I tanti giu­dici remit­tenti, infatti, hanno impu­gnato due dei ven­ti­tré arti­coli che il Governo Ber­lu­sconi intro­dusse scal­tra­mente in sede di con­ver­sione di un decreto adot­tato per lo svol­gi­mento delle Olim­piadi inver­nali di Torino. Per riu­scirci, si ricorse alla tec­nica del maxie­men­da­mento scu­dato dal voto di fidu­cia. Per evi­tare il rin­vio pre­si­den­ziale, si approvò la legge a ridosso dello scio­gli­mento delle Camere e dell’inizio dei gio­chi olim­pici, met­tendo il Qui­ri­nale con le spalle al muro. Un inne­sto nor­ma­tivo arti­fi­ciale, dun­que, che pro­duce un corpo (legi­sla­tivo) gene­ti­ca­mente modificato.

La quae­stio ha molto a che fare anche con il mes­sag­gio del Capo dello Stato sulle car­ceri. Si doveva discu­terlo venerdì scorso, a ben tre mesi dal suo invio. L’affanno par­la­men­tare nella con­ver­sione dell’ennesimo decreto legge fidu­ciato ha poster­gato il con­fronto a chissà quando: e pazienza se que­sta svo­glia­tezza par­la­men­tare assume ormai i con­torni più che dello sgarbo, dello sfre­gio istituzionale.

Quel mes­sag­gio indica le vie per uscire da un sovraf­fol­la­mento car­ce­ra­rio, di cui la legge Fini-Giovanardi è una delle cause nor­ma­tive. Un dete­nuto su tre entra in car­cere ogni anno per la sua vio­la­zione. Le sue pene (da 6 a 20 anni di car­cere) per chi detiene qual­siasi sostanza stu­pe­fa­cente si appli­cano a molti con­su­ma­tori, anche per il sem­plice pos­sesso di una quan­tità di poco ecce­dente la soglia non pre­vi­sta dalla legge, ma da un decreto mini­ste­riale. E senza distin­zione pos­si­bile tra dro­ghe leg­gere e pesanti, per­ché – Gio­va­nardi dixit – «la droga è droga».

Di stu­pe­fa­cente, in tutto que­sto, c’è un uso della pena come stru­mento di con­trollo sociale, a san­zione di uno sta­tus (più che di una con­dotta), ampu­tata della sua fina­lità rie­du­ca­tiva: per­ché dal car­cere non si può uscire non più tossicodipendenti.

La quae­stio, infine, ha molto a che fare con l’elevatissimo con­ten­zioso a Stra­sburgo con­tro l’Italia. Dan­doci un anno di tempo per risol­vere un sovraf­fol­la­mento car­ce­ra­rio che vìola il divieto di tor­tura, la Corte euro­pea ha con­ge­lato gli oltre 3.000 ricorsi pre­sen­tati da altret­tanti dete­nuti nelle car­ceri ita­liane. Un numero desti­nato a cre­scere, quanto più nel tempo si pro­trarrà un sovraf­fol­la­mento già oggi «strut­tu­rale e sistemico».

Anche la Con­sulta deve farsi carico del pro­blema per­ché la Corte euro­pea, con­dan­nando lo Stato ita­liano, chiama tutti i poteri sta­tali (Corte costi­tu­zio­nale com­presa) a risol­verlo. Ad esem­pio, rimuo­vendo alcune delle norme repres­sive di una legge car­ce­ro­gena come quella sulle dro­ghe. Nella pre­gressa giu­ri­spru­denza costi­tu­zio­nale con­tro l’abuso della decre­ta­zione d’urgenza si ritro­vano tutti gli argo­menti per farlo: quella legge, infatti, è «cer­ta­mente inco­sti­tu­zio­nale», come motiva l’omonimo appello fir­mato da 138 giu­ri­sti, garanti e ope­ra­tori del set­tore. Si può leg­gerlo in www?.socie?ta?del?la?ra?gione?.it

Sarà inviato ai quin­dici giu­dici costi­tu­zio­nali chia­mati a essere, sem­pli­ce­mente, fedeli a se stessi.


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