La Farnesina in Siria fra umanitari e mandanti di guerra

Loading

«Il dia­logo poli­tico, che sarà lungo, va tenuto sepa­rato dalla solu­zione uma­ni­ta­ria neces­sa­ria ad alle­viare le sof­fe­renze del popolo siriano…anche se non c’è solu­zione uma­ni­ta­ria a quella che è una crisi poli­tica»: così ha dichia­rato la mini­stra degli esteri Emma Bonino al terzo incon­tro (il secondo è stato in Kuwait) del Gruppo di alto livello sulle sfide uma­ni­ta­rie in Siria, svol­tosi ieri alla Far­ne­sina a porte chiuse — salvo l’introduzione della ministra.

Tanti i Paesi assenti

Alla riu­nione romana del gruppo che, ha detto la Bonino, «non ha sta­tus pre­ciso e non vuole sosti­tuirsi a nes­suno», erano pre­senti dieci su undici (assente la Ger­ma­nia) dei cosid­detti «Amici della Siria», molti dei quali sosten­gono l’opposizione armata e gruppi estre­mi­sti con armi, denaro e com­bat­tenti con­tri­buendo a per­pe­tuare la tra­ge­dia uma­ni­ta­ria. A Roma poi, oltre all’Ue e agli orga­ni­smi uma­ni­tari dell’Onu erano pre­senti Rus­sia (amba­scia­tore in Ita­lia), Cina (inca­ri­cato d’affari) e Iran (vice­mi­ni­stro degli Esteri). In tutto quasi trenta paesi. Man­ca­vano attori impor­tanti del Sud, pur miste­rio­sa­mente indi­cati nei car­telli sul tavolo cir­co­lare: Suda­frica, Bra­sile, Venezuela…

In un breve comu­ni­cato alla stampa, Vale­rie Amos, sot­to­se­gre­ta­ria gene­rale dell’Onu per gli affari uma­ni­tari e coor­di­na­trice dell’Ufficio Onu per le emer­genze (Ocha), chie­dendo più fondi ha rife­rito che il Gruppo ad alto livello ha appro­vato «undici inter­venti imme­diati» per garan­tire «l’accesso alle aree asse­diate e a quelle dif­fi­cili da rag­giun­gere», che con­tano fino a sette milioni di per­sone, con oltre tre milioni in uno stato di urgente bisogno.

Nell’intervento di aper­tura e nella dichia­ra­zione stampa, la mini­stra Bonino pur senza evo­care il ter­mine «cor­ri­doi uma­ni­tari» a pro­po­sito dei passi da com­piere urgen­te­mente per affron­tare la «peg­giore crisi uma­ni­ta­ria dei nostri tempi in ter­mini di civili coin­volti», ha ripe­tuto comun­que che «cibo, medi­ci­nali, tutto è pronto a entrare in Siria, alle fron­tiere e nei paesi della regione», e «non si può accet­tare che si pon­gano con­di­zioni per l’accesso» (al paese o alle aree in stato di asse­dio nel paese?). In ogni caso, l’Italia ritiene che «sarebbe utile e impor­tante appro­vare una riso­lu­zione delle Nazioni unite per garan­tire l’accesso incon­di­zio­nato agli aiuti umanitari».

Chi impe­di­sce l’accesso? Secondo Bonino esso è «ristretto dalle auto­rità siriane e in certi casi dagli oppo­si­tori». Una sot­to­va­lu­ta­zione, la sua, delle respon­sa­bi­lità di que­sti ultimi. Nello stesso docu­mento ope­ra­tivo distri­buito ieri alla stampa si legge dei 45mila abi­tanti dei vil­laggi Nubl e Zahra (vicino ad Aleppo) asse­diati da anni da «forze dell’opposizione» (come la città di Adra tea­tro di un grande mas­sa­cro nel mese di dicem­bre); e quanto alla parte vec­chia di Homs, cir­con­data dai gover­na­tivi, è impor­tante che i civili – il loro numero è molto vario a seconda delle fonti — pos­sano lasciare l’area; ma secondo l’andamento dei nego­ziati da tempo in corso, sem­bra che gli armati non siano dispo­sti a rima­nere soli, senza i civili come pro­te­zione. Del resto le dina­mi­che, le vit­time e gli attori degli assedi sono resi in modo oppo­sto a seconda delle fonti. Basti pen­sare al campo dei rifu­giati pale­sti­nesi di Yar­muk, occu­pato da gruppi isla­mi­sti (ai quali si oppone una fra­zione dei pale­sti­nesi), cir­con­dato dall’esercito. Era da den­tro o da fuori che si impe­diva il pas­sag­gio degli aiuti e l’uscita dei non armati?

Resta l’invio di armi

Amos ha evo­cato fra i punti impre­scin­di­bili la pro­te­zione dei civili e delle strut­ture civili. Ma la con­fu­sione civile-militare in Siria è ormai totale, insieme alla distru­zione delle infra­strut­ture e dell’economia del paese. Incre­sciosa la mili­ta­riz­za­zione degli ospe­dali, ad esem­pio il com­plesso Qadi Askar ad Aleppo inte­ra­mente occu­pato da bri­gate e comi­tati per la sharia.

La pre­senza dell’Iran e della Rus­sia all’incontro? Impor­tanti. «Ci sono paesi che hanno più influenza e quindi più respon­sa­bi­lità di altri, fac­ciamo appello a chi ha più responsabilità»…Anche ad Ara­bia sau­dita, Qatar, Usa e Tur­chia? «Sì, a tutti» risponde laco­ni­ca­mente il mini­stro. Ma come con­vin­cere gruppi armati che asse­diano aree o deten­gono civili come scudi umani (magari volon­tari) e che sem­brano sfug­gire a ogni ordine? Rispon­dendo con un «Chi più può, fac­cia», la mini­stra impli­ci­ta­mente rico­no­sce che c’è chi gli ordini a quei gruppi li può dare. Ma si tratta di que­gli «Amici» della Siria che appunto li armano. Così il cir­colo vizioso fra guerra e soc­corso alle vit­time si avvita all’infinito.


Related Articles

Conferenza internazionale per uscire dal pantano in Libia

Loading

Una missione di pace appare difficile. E le alternative sono poche

Il fattore Kurdistan

Loading

Dall’ingresso nel Parlamento turco alla resistenza all’Isis in Iraq e Siria Una nazione-chiave in Medio Oriente

Pakistan, strage nella capitale, 23 morti

Loading

Pakistan. Oltre cento i feriti. Una strage che non ha eguali, nella capi­tale, dai tempi di quella avve­nuta all’Hotel Mar­riot di Isla­ma­bad nel 2008

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment