by Sergio Segio | 1 Febbraio 2014 23:00
Riapparendo in pubblico per un comizio a favore di Ugo Cappellacci per le regionali in Sardegna, Silvio Berlusconi liquida i mal di pancia interni su Giovanni Toti (volato a Cagliari al suo fianco, insieme alla fidanzata Francesca Pascale) come «stupidaggini, ma quale maretta» e ribadisce che non rottamerà nessuno. Ma si capisce presto che il vero tema, l’argomento su cui ha la testa, è la legge elettorale. Quell’Italicum che ha subito una piccola battuta d’arresto: anziché tornare in aula la prossima settimana, Montecitorio si è aggiornato a martedì 11 febbraio. Una scelta che si è intestata la presidente della Camera Laura Boldrini dopo la forzatura in commissione Affari Costituzionali, quando il presidente Sisto ha fatto votare per alzata di mano il testo senza discutere neppure uno degli emendamenti, nel pieno dell’occupazione grillina. «È stata una settimana di tensioni scaricate anche sulla legge elettorale. Su mia richiesta – ha detto Boldrini – la conferenza dei capigruppo ha deciso qualche giorno in più per l’argomento importante e assegnato al dibattito tempo ben più ampio del solito». Con una garanzia però: «La decisione finale arriverà entro fine febbraio». In tempo, cioè, per rispettare la road map decisa da Renzi che prevede entro marzo il voto finale al Senato. Per cominciare poi la (assai incerta) partita delle riforme costituzionali, Senato delle autonomie e revisione del Titolo V. LETRAPPOLE Le rassicurazioni convincono Forza Italia fino a un certo punto. Il capogruppo Renato Brunetta ha ammesso la sua preoccupazione. E Berlusconi le ha dato voce alta: «Spero che Renzi, con cui abbiamo trovato una possibilità di interloquire, trovi all’interno del suo partito la maggioranza per poter proseguire sulla strada che abbiamo tracciato». Sintetizzata, anche quella, in pochi concetti chiave. Come l’importanza delle soglie minime di accesso per bipolarizzare il sistema, dopo aver ceduto su quella più alta: «I piccoli partiti hanno ottenuto, grazie all’aiuto del Capo dello Stato, che si passasse dal 35% al 37% come soglia di sbarramento per ottenere il premio di maggioranza» ha detto Berlusconi. Beccandosi la reprimenda di Lorenzo Guerini, portavoce della segreteria di Renzi: «Sulla partita della legge elettorale Napolitano è solo arbitro e non giocatore. Lasciamo il Quirinale al di sopra delle parti nel suo ruolo di garanzia per tutti». «I Cinquestelle? Sono un ostacolo al bipolarismo ma dal mio sondaggio molti loro elettori non daranno loro nuovamente la preferenza. Dobbiamo agire sui troppi indecisi per conquistare la maggioranza» ha detto ancora Berlusconi. È uno dei nodi: aggredire il bacino dei voti di Grillo. Obiettivo a cui punta anche il segretario di Largo del Nazareno. E la «preda» fiuta il pericolo, con le prime avvisaglie alle Europee. «Se andiamo male mi ritiro» ha messo le mani avanti il leader pentastellato. LABATTAGLIAM5S I suoi parlamentari però, richiamati a un’opposizione «irreprensibile» durante il blitz romano dell’ex comico, hanno abbandonato l’Aventino. Intendono proporre e votare emendamenti convenienti. Anche quelli degli altri se si renderà necessario. Non solo ostruzionismo, a gamba tesa per modificare la legge. La battaglia si sposta sul testo dell’Italicum. Dove le potenziali trappole sono molte. Primo punto controverso, le preferenze. Le vogliono i grillini, ma anche gli alfaniani e Sel. In che forma, ancora non è chiaro, si va dai capilista bloccati e gli altri no, a liste miste. Contro questa massa d’urto si vedrà la resistenza della «profonda sintonia» tra Berlusconi e Renzi che su questo non vogliono toccare una virgola. Sulle pregiudiziali di costituzionalità è emersa una pattuglia di 25-30 franchi tiratori. Non sconvolgente, ma potrebbe lievitare al momento opportuno. Il Pd tiene d’occhio i suoi numeri, il Cavaliere occhieggia la «maretta» azzurra: i potenziali dissidenti vanno da una decina al doppio. E sarà guerra anche sulle soglie dei partitini non coalizzati: l’8% ai piccoli appare inaccettabile. Significativo l’emendamento della minoranza Pd che sostanzialmente condiziona l’entrata in vigore della riforma elettorale all’abolizione del Senato: una chiara sfida a implicite tentazioni di troncare in anticipo la legislatura. Sottovoce, poi, in molti ragionano su una clausola di salvaguardia che faccia slittare l’abolizione effettiva del Senato alla prossima legislatura. Per il famoso principio del «tacchino a Natale» che potrebbe disincentivare i senatori dallo slancio riformista.
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