by Sergio Segio | 15 Febbraio 2014 23:00
«A causa delle sanzioni internazionali non è possibile effettuare prelievi»: è questa la prima risposta che qualsiasi imprenditore o turista straniero si sente dare agli sportelli di tutte le banche iraniane da Tejarat e Mellat. A chi è in cerca di liquidità non resta che rivolgersi agli uffici di cambio, o agli uomini che scambiano i biglietti di rial, la moneta locale, con dollari ed euro a tassi vantaggiosi, in piazza Ferdosi, quartiere orientale del centro città. Ma anche qui è impossibile usare una semplice carta di credito non iraniana.
Da anni le banche locali sono isolate dal resto del mondo. E così non resta che montare su uno dei motocicli che a decine aspettano in fila un cliente, come fossero dei taxi, ai lati di via Shariati. Si potrà così raggiungere l’immenso bazar di Tehran per rivolgersi ai venditori di tappeti che dispongono di complicati mezzi, attraverso conti in banche del Golfo persico o per accordi con istituti di credito europei, che permettono di usare una carta di credito per prelievi e pagamenti.
Eppure gli ostacoli agli investimenti stranieri potrebbero presto essere un ricordo del passato. Una prima parte delle misure internazionali è stata rimossa. E i segnali di ripresa sono davvero incoraggianti. Secondo la Banca mondiale, il 2014 segnerà una crescita del Pil in Iran del 3,2 percento dopo un anno di recessione. Non solo, tra il 2015 e il 2016, secondo il ministero del petrolio, l’Iran farà un «salto senza precedenti» nelle esportazioni di gas.
Le case iraniane sono già ben riscaldate nel freddo inverno di Tehran per i bassi costi delle bollette. Nonostante ciò, è in programma un ulteriore piano di sviluppo degli impianti per l’estrazione di gas Sud Pars, nel Golfo persico, dove si producono già 300 milioni di metri cubici di metano al giorno (l’8% del fabbisogno di gas mondiale). Secondo Javad Owji, dirigente della Compagnia iraniana nazionale del gas, i profitti per l’esportazione di metano triplicheranno, toccando i 10 miliardi di dollari dai 3,5 attuali, già a partire dal prossimo anno. Questo avverrà in particolare grazie ai nuovi accordi siglati con Turchia e Iraq.
[1]I dati sulla ripresa iraniana parlano chiaro. Il nuovo governo dei tecnocrati di Hassan Rohani promette maggiore pragmatismo in politica economica rispetto al suo predecessore Mahmud Ahmadinejad. Torna così l’interesse degli investitori stranieri per il mercato iraniano. Primi fra tutti i francesi. Nonostante il Quay d’Orsay avesse osteggiato più di ogni altro l’accordo di Ginevra nei primi round negoziali, i rappresentanti di ben cento imprese francesi, tra cui la compagnia petrolifera Total, il gruppo di telecomunicazioni Orange e automobilistico Renault, sono sbarcati a Tehran per una tre giorni, in vista di nuovi investimenti nei settori industriale, assicurativo, farmaceutico, alimentare ed edilizio. In prima fila, sono proprio le aziende automobilistiche Renault e Peugeot. «Considerate le capacità offerte dalle nostre linee di assemblaggio, per le grandi case internazionali si tratta di una buona opportunità di investimento», ci spiega Reza Rajabali, supervisore della produzione del colosso iraniano Khodro.
Tutti gli investitori stranieri nel settore petrolifero attendono invece il prossimo luglio, quando dovrebbero essere cancellati i vecchi contratti di tipo «buy-back», che non permettevano alle società straniere di possedere quote di capitale nei progetti petroliferi nella Repubblica islamica, sostituendoli con nuovi accordi basati sulla formula win-win, vantaggiosi sia per il governo sia per le compagnie petrolifere, che avrebbero maggiori margini di guadagno. Ma già in vista della conferenza in cui si discuterà del tema, il prossimo 22 febbraio, i giganti del petrolio sono in fila: dall’olandese Shell alla britannica Bp fino all’Eni. Proprio l’Italia, fino al 2011 primo partner commerciale europeo di Teheran insieme alla Germania, per riattivare gli investimenti in Iran, ha avviato negli ultimi mesi una serie continua di missioni politiche e diplomatiche.
Alle porte della Corte di giustizia, lasciata piazza Imam Khomeini nel sud di Tehran, un assembramento di lavoratori e contadini chiede l’aumento dei sussidi sulla benzina e altri beni di prima necessità. Più avanti un uomo batte a macchina una lettera mentre il cliente la detta a bassa voce. Si intravedono i murales sulle pareti degli edifici che circondano il bazar di Tehran. I decori dei palazzi cittadini rappresentano donne avvolte in veli colorati, viste di città, scale che si dirigono verso l’infinito. Anche lo spazio pubblico è tenuto sotto controllo dalle autorità iraniane: dai ponti sopraelevati per attraversare la strada alle ampie recinzioni che impediscono l’attraversamento pedonale.
Mentre rari sono i luoghi di assembramento a Tehran. Uno dei più antichi si trova proprio a pochi metri dal bazar. È il caffè Naderi di via della Repubblica dove alcune ragazze lasciano scivolare via i loro veli nonostante una telecamera a circuito chiuso riprenda ogni tavolo della caffetteria. Le antiche foto alle pareti tradiscono la nostalgia dell’Iran dei Pahlavi.
Nel bazar di Tehran quelle che una volta erano delle bancarelle sono diventate dei negozi di lusso. E gli effetti della diminuzione dei prezzi si fanno sentire sui consumi. Sebbene l’inflazione resti alta (al 28% quest’anno), nel mese di gennaio era in calo dell’1% rispetto a dicembre. «In seguito all’accordo di Ginevra, i prezzi stanno scendendo. Eppure anche con i prezzi alle stelle dello scorso anno, la corsa agli acquisti di beni di lusso era frenetica», ci spiega Vahid, venditore di costosi tappeti nel cuore del bazar.
Tuttavia, i prezzi degli affitti e delle automobili non accennano a calare. I tecnocrati controllano ora gli ingenti investimenti in infrastrutture e per la gestione delle risorse idriche a discapito degli ultra-conservatori. Questo ha generato non pochi malumori, insieme a denunce di abusi di ufficio e corruzione. Con pesanti implicazioni da accertare che in alcuni casi hanno preso la forma di gravi episodi di rappresaglia politica, come l’assassinio del viceministro dell’Industria, Safdar Rahmatabadi. Il politico ucciso nel novembre scorso era impegnato, dal suo insediamento, in una diffusa lotta alla corruzione, che coinvolgeva tutti i settori della scena politica iraniana.
Inoltre, le speculazioni edilizie degli ultimi anni hanno generato non poche conseguenze ambientali. È il caso del prosciugamento del lago di Urmia. Il bacino è sparito dopo la costruzione della diga nel villaggio di Chahchai, nel nord del Paese che ha interrotto uno degli ultimi affluenti del lago. E così la città ha perso in pochi mesi il 95% delle sue risorse idriche: dove la profondità dell’acqua era di poco superiore ai nove metri, ora si vede una piana deserta. Non solo, le acque del Mar Caspio sono ricolme di rifiuti industriali iraniani e russi, mentre la città di Ahwaz, nel sud ovest del Paese, è considerata la più inquinata al mondo, secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità.
La crescita solo accennata a Tehran è ben evidente altrove. Primi ingenti investimenti sono già disponibili nelle isole di Qish e Qeshme nel Golfo persico. I due paradisi divennero aree di libero scambio nel 1991. Affollate per le festività del nuovo anno persiano, Norooz (che si festeggia nel mese di marzo) e in occasione delle festività sciite della Ashura, spiagge, parchi e riserve naturali appaiono ancora semi-deserte. Se Qeshm è ancora un’isola vergine e molte donne coprono ancora il volto con maschere tradizionali di cuoio (gatwiyyeh), Qish è la quarta località turistica più frequentata del Medio oriente. Attrae gli investimenti di ingenti progetti edilizi, grandi residence e grattacieli per le diffuse agevolazioni fiscali. Qui le donne vestono hejab informali, molto spesso vengono in vacanza dagli Emirati e da altri Paesi del Golfo, si attardano tra le vetrine dei grandi e lussuosi centri commerciali.
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