by Sergio Segio | 10 Febbraio 2014 8:59
Domenica 9 febbraio in Svizzera si è tenuto un referendum popolare promosso dal partito di centrodestra Unione democratica di Centro in cui è stata approvata con un margine ristretto un’iniziativa contro «l’immigrazione di massa». I risultati[1] – pubblicati sul sito della Cancelleria Federale – mostrano che ha votato “sì”, cioè a favore del cambiamento delle politica migratoria del paese, il 50,3 per cento dei votanti: l’affluenza è stata alta, ha infatti votato il 55,8 per cento degli aventi diritto. Il testo dell’iniziativa[2] propone una modifica alla Costituzione federale per introdurre “tetti massimi annuali e contingenti annuali” da fissare “in funzione degli interessi globali dell‘economia svizzera e nel rispetto del principio di preferenza agli Svizzeri”: l’introduzione delle quote annuali riguarderà i cittadini dell’Unione Europea, i cosiddetti “frontalieri” e i richiedenti asilo. Si prevede anche che al momento di nuove assunzioni, le imprese debbano dare la preferenza ai cittadini della Svizzera.
BBC, tra gli altri, nota[3] che questo voto invalida l’accordo tra la confederazione e l’Unione Europea – di cui la Svizzera non fa parte – sulla libera circolazione delle persone. L’accordo, faticosamente negoziato prima della sua entrata in vigore nel 2007, assicurava uguali diritti ai cittadini europei e a quelli svizzeri nel mercato del lavoro: i promotori del referendum votato domenica lo avevano però criticato apertamente, dicendo che alla prova dei fatti si era rivelato un errore. Il Consiglio federale e il Parlamento avranno ora tre anni per l’attuazione della proposta, periodo entro il quale dovranno avviare anche nuovi negoziati con l’Ue, come ha ricordato dopo l’esito il presidente della Confederazione Didier Burkhalter.
Il governo svizzero aveva annunciato a marzo 2012 che la campagna “Basta immigrazione di massa”[4] – con slogan come “L’eccesso nuoce” – aveva raggiunto le 100 mila firme necessarie a indire un referendum. Tra i promotori c’era il partito euroscettico di centrodestra Unione Democatica di Centro (UDC in italiano, SVP in tedesco), che ha circa un quarto dei seggi all’Assemblea federale.
Il voto si è diviso più o meno secondo linee geografiche e linguistiche tradizionali: il Canton Ticino, di lingua italiana, era molto favorevole all’introduzione delle quote, i cantoni francesi erano contrari e quelli di lingua tedesca divisi. Nonostante l’economia svizzera stia attraversando un ottimo periodo e la disoccupazione sia molto bassa – poco oltre il 3 per cento – da tempo in Svizzera è in corso un dibattito sulle conseguenze dell’immigrazione, che secondo i promotori del referendum provocherebbe un abbassamento degli stipendi e metterebbe in pericolo lo stato sociale. Poco meno di un quarto degli otto milioni di abitanti della Svizzera è straniero. Lo scorso anno sono arrivati 80 mila nuovi immigrati, una cifra ripresa ripetutamente nella campagna a favore del “Sì” alle quote.
Domenica 9 febbraio, oltre al referendum sull’immigrazione, gli svizzeri hanno votato anche una proposta che prevedeva che l’interruzione volontaria di gravidanza non fosse più coperta dall’assicurazione sanitaria obbligatoria: l’iniziativa era intitolata “Il finanziamento dell’aborto è una questione privata” ed era stata promossa da un comitato composto soprattutto da cristiano conservatori che facevano riferimento al partito Unione democratica di Centro: «Molte cittadine e cittadini non sanno che con i loro premi della cassa malati sono chiamati a finanziare gli aborti. Ma l’aborto non è una malattia. Nessuno deve essere obbligato a cofinanziare gli aborti degli altri», aveva spiegato il presidente del comitato Peter Föhn. L’iniziativa è stata però respinta[5] con il 69,8 per cento dei voti: l’interruzione volontaria di gravidanza, in Svizzera, continuerà ad essere rimborsata dall’assicurazione obbligatoria.
Foto: un poster del Partito Popolare Svizzero per promuovere il referendum a Zurigo, Svizzera, 6 febbraio 2014.
(MICHAEL BUHOLZER/AFP/Getty Images)
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