by Sergio Segio | 7 Febbraio 2014 7:11
ROMA — Resistere, resistere, resistere. Fino al 20 febbraio e oltre. Arroccarsi a Palazzo Chigi e respingere «a colpi di fatti» il tentativo di Matteo Renzi di commissariarlo. «Il governo va avanti ad attuare il programma — assicura Enrico Letta alle nove e mezzo della sera —. Vediamo la tenuta della maggioranza sulla legge elettorale in Parlamento e poi affronteremo l’impegno 2014».
Nel pomeriggio il premier era andato al Nazareno da solo e da solo è tornato a Palazzo Chigi, quasi rinfrancato. Per un paio d’ore, nel suo studio, ha ragionato di programmi e maturato l’idea di «procedere con il contratto» e con l’eventuale rimpasto appena ci saranno le condizioni, subito dopo il via libera alla legge elettorale. Ma alle otto di sera, quando si è sintonizzato sulla diretta della riunione del «parlamentino» per la replica del segretario, dopo una giornata di tregua apparente è arrivata quella che nel Pd qualcuno chiama «la bomba atomica di Renzi».
Fino a tardi, porte chiuse e telefoni staccati, il premier si è arrovellato su quelle parole. E però, in onore a quel tratto del suo carattere che gli fa vedere sempre e comunque il bicchiere mezzo pieno, dopo la botta ha voluto convincersi che «la riunione al Nazareno abbia segnato un passo avanti». Possibile, con Renzi che ha fissato al 20 febbraio la data del processo al governo? Con il Pd tutto che non vede l’ora di «far chiarezza» e decidere se sostenere il Letta bis, chiedere che sia Renzi a guidare il governo oppure andare a votare? Possibile, sì. Perché il «fare buon viso a cattivo gioco» è la sua strategia da quando è iniziata «la guerra di nervi» con il segretario: non rispondere alle provocazioni, non cercare lo scontro e mettere una bella pezza sugli strappi. E anche questa volta la toppa, per Letta, sono i risultati del governo, gli atti del Consiglio dei ministri, il comitato della terra dei fuochi che si è insediato e gli altri «successi» che presto, assicura il premier, arriveranno.
Come ha detto in direzione, non ha alcuna intenzione di «galleggiare». Non resterà due settimane «ostaggio» del Pd. Né salirà al Quirinale per rimettere il mandato nelle mani di Napolitano. Se pensa che la partita con Renzi sia ancora «tutta aperta» e si mostra così speranzoso è perché sente di avere dalla sua parte il capo dello Stato, che ancora ieri lo ha tranquillizzato sulla «continuità» come valore assoluto, in vista del semestre europeo. E nella sua squadra Letta è convinto di avere ancora Angelino Alfano, nonostante molti renziani lo dipingano come già arruolato nell’esercito del segretario. «Il vicepremier sta con noi — assicurano a Palazzo Chigi —. Mettono in giro che abbia chiesto a Renzi di fare il premier, ma non è vero niente».
Renzi lo ha spronato a giocare a carte scoperte e per lui le carte sono sempre le stesse, cioè i provvedimenti del governo: «Io vado avanti, più determinato che mai». A dispetto del guanto di sfida che il leader gli ha lanciato e del pressing di quanti, anche nel Pd, chiedono la staffetta con il segretario. Beppe Fioroni, che era un pasdaran del fronte lettiano, ha innescato la retromarcia e ora ragiona così: «Per fare riforme credibili c’è bisogno di un governo che governi, con tutte le scelte che comporta». Dal giro ristretto dei lettiani filtra preoccupazione, se non delusione. «Enrico si è arreso, non ha voluto combattere» è la riflessione amara degli amici, che per mesi lo hanno spronato a reagire all’offensiva di Renzi. Letta invece, convinto com’è che il gioco di Matteo sia «pura tattica», ha scelto ancora una volta di non sfidarlo. D’altronde il premier non riesce a credere che l’inquilino del Nazareno voglia davvero spodestarlo, magari spedendolo a fare il commissario in Europa… Un deputato lettiano la mette così: «Matteo vuole fare come D’Alema nel 1998 con Prodi? Prego, si accomodi».
Anche ieri, quando il premier ha lasciato il suo posto in terza fila per parlare davanti alla direzione, si è ben guardato dall’affrontare apertamente la questione del «Renzi 1», che da giorni è sulla bocca di tutti coloro che non vogliono saperne di votare nel 2015. Non ha incalzato, non ha spronato il Pd a impegnarsi in un sostegno convinto al governo, ma anzi ha chiesto al suo partito di «fare gioco di squadra» per tirare l’Italia fuori dalla crisi e realizzare le riforme di sistema: «Il Pd può essere protagonista della storia, non della cronaca…».
Monica Guerzoni
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