Il nodo debiti e il piano Abu Dhabi in quattro mosse

by Sergio Segio | 3 Febbraio 2014 7:36

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Finora Etihad ha avuto accesso a tutte le carte e i conti della compagnia italiana, come neanche a Air France-Klm, che pure è seduta nel board , era stato concesso. Si è così potuta fare un’idea della situazione in cui versa Alitalia, la cui reputazione internazionale resta non buona.
Ha ragione il premier Enrico Letta a dirsi soddisfatto? Se si guarda indietro a qualche mese fa, quando tra le prospettive concrete s’era affacciata quella del fallimento, sì. Se però si accetta di guardare un po’ oltre i trionfalismi che già in altre circostanze hanno accompagnato le «svolte» di Alitalia, bisognerà mettere in conto che le condizioni che le saranno poste assomigliamo poco ai tappeti rossi.
«Nei prossimi 30 giorni – recita una nota Alitalia/Etihad – le compagnie e gli advisor stabiliranno come sviluppare una strategia comune per raggiungere gli obiettivi prefissati. La due diligence dovrà affrontare e risolvere tutti i temi che possano pregiudicare la definizione di un adeguato piano industriale, la cui completa realizzazione produrrà una redditività sostenibile per Alitalia».
Tra le righe del comunicato, e nelle parole di Letta che ha chiamato ciascuno alle «proprie responsabilità», si celano tutte le difficoltà del confronto di cui si è avuto un assaggio proprio nei giorni a ridosso del viaggio di Letta negli Emirati: prima di tutto la questione del debito pregresso che gli arabi vogliono venga ristrutturato e che mette gli azionisti-creditori Intesa Sanpaolo e Unicredit in allarme. Intanto le stesse banche non hanno permesso al premier di arrivare a Abu Dhabi con le linee di credito da 200 milioni, promesse quando fu deliberato l’aumento di capitale, già disponibili. Si è dovuto attendere la mattinata precedente alla partenza di Letta per acquisire risorse peraltro inferiori.
E poi c’è il nodo degli esuberi. Anche qui l’intento era quello di far arrivare Letta negli Emirati con in tasca la promessa della gestione di 1.900 esuberi su 14 mila dipendenti(al netto di quelli che non rientrerebbero dalla cassa integrazione). Il ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi, aveva agevolato la soluzione rifinanziando il Fondo volo. Ma la forzatura con cui l’ad Gabriele Del Torchio ha aperto unilateralmente la procedura di mobilità ha prodotto una levata di scudi dei sindacati e il rinvio: di esuberi si parlerà a valle dell’accordo con Etihad e non a monte, nella speranza che gli arabi annuncino piani di sviluppo tali da assorbire l’intera manodopera. Altrove non è successo: Air Berlin, di cui Etihad ha acquisito il 29%, ha annunciato 15 giorni fa l’applicazione di un piano che prevede il taglio di 900 posti su circa 9 mila e non sono esclusi licenziamenti.
Più si va incontro alla stretta della trattativa, più ci si rende conto che le condizioni di Etihad non sono dissimili da quelle poste da Air France-Klm che peraltro è ancora della partita. Perché dovrebbe essere meglio allora vendere agli arabi? E questo è il terzo corno della questione, quello delle prospettive. Le difficoltà in cui si dibatte Air France-Klm si traducono in pochi soldi da investire e in una strategia, quella di tenere il business in Europa, che appare ormai perdente rispetto al rampantismo delle compagnie del Golfo. Etihad ha soldi da investire invece, il punto è capire che ruolo avrà Alitalia nel suo disegno. La strategia di Etihad è costruire un proprio network in Europa, aggirando le attuali barriere all’ingresso. Il che vuol dire acquisire il controllo di diversi hub (come sta facendo)collegarli tra loro e con il proprio hub, da cui partono gli intercontinentali.
Tale strategia ha messo in allarme Lufthansa perché ha preso avvio a Zurigo, dove Etihad ha acquisito Air Darwin facendone il proprio regional in un’area controllata dai tedeschi. Air France-Klm ha avuto la prontezza di aggregarsi al progetto emiratino per non esserne fagocitato. Può Alitalia in queste condizioni aspettarsi di recuperare un ruolo da grande compagnia europea?
Antonella Baccaro

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