IL CASO MASTRAPASQUA E GLI EBREI ITALIANI

by Sergio Segio | 3 Febbraio 2014 7:40

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Se ne accenna con cautela, perché l’inchiesta della Procura di Roma sembra fatta apposta per diffondere il pregiudizio antisemita secondo cui gli ebrei avrebbero goduto di una speciale indulgenza, e ne approfitterebbero. Non è così, e lo confermano le rivelazioni di Repubblica.
Ma intanto l’ipotesi di rimborsi gonfiati, e la cifra di 42 milioni di euro che solo ora l’Inps rivendica con decreto ingiuntivo, alimentano un clima di sospetto. Né aiuta a dissiparlo l’imbarazzato silenzio di portavoce comunitari solitamente loquaci.
Sia ben chiaro: non esiste giustificazione alcuna perché l’opinione pubblica, scandalizzata dalle malversazioni emerse nel sistema Daccò-Formigoni o al San Raffaele, debba sorvolare su quanto accaduto all’Israelitico. Magari con la solita scusa che si tratta di una struttura sanitaria d’eccellenza, e che il suo status di istituto religioso gli riserva benefici analoghi a quelli goduti dalle cliniche cattoliche.
Come è noto, tutto ruota intorno alla figura di Antonio Mastrapasqua che da molti anni (2001) trova il tempo di rivestire fra gli altri pure l’incarico di direttore generale dell’Ospedale Israelitico; e al quale, in seguito, la Comunità ha affidato in aggiunta la gestione della Casa di Riposo. Sia detto per inciso: Mastrapasqua non è ebreo. Altri sono i criteri a cui si è ispirato chi l’ha prescelto; e ancora oggi preferisce astenersi da valutazioni riguardo al suo operato. Almeno fino al momento in cui scrivo.
Debbo credere che i responsabili della Comunità ebraica romana abbiano selezionato Mastrapasqua confidando sulle sue indubbie virtù manageriali. Ma mi riesce difficile escludere che fra i requisiti apprezzati nel prescelto figurassero anche le sue relazioni trasversali col mondo politico e con la burocrazia statale. Relazioni collocate principalmente a destra, anche se non solo. E in ogni caso organiche a quel sodalizio guidato da Gianni Letta, con Luigi Bisignani come braccio operativo, che a lungo ha fatto il bello e il cattivo tempo nelle istituzioni e negli enti del sottopotere romano. Tanto da consigliare, a chi cerca entrature negli snodi decisionali, di affidarsi a personaggi già dotati delle credenziali di cui sopra.
Qualunque siano le responsabilità di Mastrapasqua, manager senza dubbio capace oltre che bulimico, e senza escludere l’ipotesi che egli stia coprendo responsabilità altrui, è evidente come la sua vicenda imponga un ripensamento critico più generale sulla collocazione in cui si vengono a ritrovare le istituzioni dell’ebraismo italiano. Stiamo vivendo un passaggio d’epoca. Ma stiamo anche raccogliendo i frutti, spesso avvelenati, del ventennio trascorso. Ebbene: come si sono posizionati, nel ventennio che per comodità chiameremo berlusconiano, i rappresentanti delle Comunità ebraiche, alle prese con il mutare degli equilibri del potere?
L’argomento è delicato perché ha molte implicazioni. Da una parte il deciso spostamento a destra dei governi israeliani, spesso in rotta di collisione con l’Unione europea e con lo stesso alleato Usa, pareva sollecitare le Comunità della diaspora a un ferreo schieramento di solidarietà. Ma su questa sollecitazione, diciamo così, di natura esterna, si è innestata una novità di politica interna: cioè il forte bisogno di legittimazione della destra berlusconiana e post- fascista giunta nel 1994 al governo del paese tra mille sospetti. La destra italiana non si è accontentata di instaurare una stretta alleanza con i governi di Sharon, Olmert e Netanyahu. Dovendo fare i conti con i suoi trascorsi storici imbarazzanti, essa ha ricercato in ogni modo la benevolenza dell’ebraismo italiano; convinta, a ragione, di trarne una sorta di salvacondotto culturale.
Si è instaurata così una prassi informale di rapporti privilegiati; è stata favorita la crescita di uno spazio pubblico delle Comunità; sono giunte sovvenzioni; si sono valorizzate nuove figure di intermediari, nelle relazioni culturali e commerciali. Tutto questo oggi va ripensato nella massima trasparenza.
La stessa lunga opera prestata da Mastrapasqua all’Ospedale Israelitico, su cui nessuna reticenza sarebbe giustificata, può comprendersi solo in tale contesto.

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