GLI STRAPPI ALLE REGOLE

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Un argomento per giustificare lo strappo alle regole è quello usato in queste ore per metabolizzare la serie di strappi che hanno segnato il passaggio di consegne da Enrico Letta a Matteo Renzi: se da qui ne risulterà del bene per il paese allora esso perderà molto del suo sapore amaro.
Tuttavia, la giustificazione post-factum è ardua da argomentare, per due ragioni almeno: perché qualcuno troverà sembra un buon motivo per dire che il bene del paese è stato fatto, e la catena di argomenti pro e contro si prefigura indefinita, anche perché il giudizio sulle conseguenze è in sé non oggettivo; e in secondo luogo perché nessuno strappo alle regole del gioco dovrebbe essere giustificato con argomenti consequenzialisti, poiché in questo caso nessuna norma sarebbe più sicura e infine poche resisterebbero all’argomento del buon risultato. La stessa democrazia, se ci si basa sui risultati, sarebbe davvero poco difendibile, e infatti non è per la qualità delle sue decisioni che noi l’apprezziamo e la vogliamo.
La sequenza di vicende rocambolesche che porta Renzi da Palazzo Vecchio verso Palazzo Chigi deve essere giudicata con riflessività e ponderatezza. Sono almeno due i problemi che meriterebbero attenta analisi e considerazioni libere da pregiudizi. La prima riguarda l’investitura del futuro premier via primarie. Occorre tenere a mente che si è trattata dell’investitura di un segretario di partito non di un premier; i modi in cui avvengono le primarie nel nostro paese sono informali, lasciati alla decisione di un gruppo politico (che è a tutti gli effetti un’associazione della società civile), fuori dalle regole del gioco stabilite per legge. Sono naturalmente degne di rispetto e potenti strumenti di designazione politica del leader ma non danno una legittimità
formale a governare.
Questa legittimità viene o dalle elezioni o, se c’è crisi di governo prima dello scioglimento delle Camere, dagli organi stabiliti dalla Costituzione:
la Presidenza della Repubblica insieme al Parlamento. Ecco il tema della seconda riflessione: il Parlamento è per norma l’organo nel quale si formano e si consumano le maggioranze nelle
democrazie parlamentari. Certo, nella pratica le maggioranze si formano, si consumano e finiscono fuori dal Parlamento, ma devono avere poi nel Parlamento la loro formale registrazione.
Attendere come le cose evolveranno non è una strategia saggia, anche se il carattere del leader sembra in questo caso avere una forza dirompente tale da rassicurarci, con la celerità della sua ascesa, che la foga dell’acqua non tracimerà ma rientrerà quanto prima nell’alveo. Il cesarismo è una possibile manifestazione della democrazia elettorale, per ragioni che solo in parte sono legate al carattere del leader. Un fattore saliente è la trasformazione in senso plebiscitario dei partiti politici che le primarie hanno accelerato.
Certo, meglio il cesarismo che si forma nel partito e con il volere espresso del suo popolo che il cesarismo che si alimenta del denaro privato e del potere economico. Tuttavia, le derive plebiscitarie dovrebbero trovare quando si manifestano attenti sistemi di contenimento: Max Weber aveva pensato che il parlamento fosse l’istituzione che meglio consentisse di limitare il potere energico del leader plebiscitario, proprio per la sua natura discorsiva e l’azione regolamentata. Fattori prosaici che sono fondamentali a contenere e dar forma alla materia vulcanica delle passioni politiche che il carattere del leader può impersonare e muovere.
Pensando proprio alla dimensione importante che questo cambio di guardia al governo del paese avrà, l’opinione competente e pubblica dovrebbe porre già da ora il problema di regolare le primarie con una riforma complessiva dei partiti, in modo da togliere a questo strumento di selezione e lancio della leadership quel senso privato e informale che ha se lasciato alla volontà e alle forme organizzative dei partiti che lo gestiscono. Non è dunque la presenza del leader in sé che deve suggerire un atteggiamento guardingo e ponderato, bensì il modo con il quale avviene la sua investitura, nel partito e poi nelle istituzioni.


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