Gianni Borgna, politico pensatore. Mai conformista

by redazione | 21 Febbraio 2014 15:15

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Era una figura rara di poli­tico e intel­let­tuale Gianni Bor­gna, che si è spento ieri a Roma a 67 anni. In lui agi­vano e si rilan­cia­vano le due fun­zioni, quella del poli­tico esperto cre­sciuto a Bot­te­ghe Oscure, e quella del pen­sa­tore non con­for­mi­sta capace di col­ti­vare il festi­val di San­remo e l’intero uni­verso della can­zone ita­liana e assieme una devo­zione pro­fonda a Pier Paolo Paso­lini, che fre­quentò e coin­volse come Fgci negli ultimi anni prima della morte del poeta. E con que­sta curio­sità polie­drica si trovò a gestire l’intero set­tore della cul­tura del Pci, di cui fu per anni respon­sa­bile. Senza mai cadere nel popu­li­smo, ma mirando piut­to­sto in alto (fino a rischiare cri­ti­che e pole­mi­che quando dall’incarico al Bot­te­gone passò diret­ta­mente al cda della Bien­nale di Vene­zia, di cui fu con­si­gliere; ma erano tempi in cui i par­titi face­vano le nomine espli­ci­ta­mente, assu­men­do­sene la respon­sa­bi­lità, senza i per­so­na­li­stici para­venti d’inciucio di oggi).

In realtà poi la sua vera fama, e il titolo desti­nato a rima­ner­gli addosso, fu quello di “asses­sore alla cul­tura”: lo è stato infatti per molti anni, dal 1993 al 2006 pas­sando dalla giunta Rutelli a quella Vel­troni. In que­sto modo era dive­nuto un rife­ri­mento obbli­gato per qual­siasi fatto cul­tu­rale avesse luogo nella città, dall’episodio di quar­tiere alla Notte bianca vel­tro­niana. E vi si era dedi­cato con dedi­zione asso­luta, e anche con gene­ro­sità: se dal Bot­te­gone cen­tra­li­sta poteva non essere stato entu­sia­sta dell’uragano Nico­lini, sicu­ra­mente all’assessorato di piazza Cam­pi­telli cercò un rie­qui­li­brio con le “uto­pie” pra­ti­cate dal suo pre­de­ces­sore. Dal 2006, per qual­che anno, è stato pre­si­dente di Musica per Roma, l’ente che gesti­sce l’auditorium, suc­ce­dendo a Gof­fredo Bet­tini, suo sodale come Wal­ter Vel­troni ai tempi figi­ciotti di Nuova gene­ra­zione. Ben­ché fosse forte della pro­pria cul­tura, gli toccò affron­tare gli sbalzi dei nuovi equi­li­bri ber­lu­sco­niani, tro­van­dosi per­fino a dover difen­dere la dire­zione Alber­tazzi al Tea­tro di Roma. In quella, come in poche altre occa­sioni, era stato capace di per­dere la pazienza e l’innata gen­ti­lezza, e a chi lo cri­ti­cava per una scelta riba­dita e insen­sata, gridò di “essere stufo dei Soloni del mani­fe­sto…”. Non più di due mesi fa, si trovò al cen­tro dell’ultima pole­mica, quando il suo nome fu pro­po­sto dal Pd per la pre­si­denza dello stesso Argen­tina. Davanti alle accuse di “con­ti­nui­smo” avan­zate da qual­cuno, Bor­gna, già malato, sbatté rumo­ro­sa­mente la porta.

Ma a fianco al culto di Paso­lini (di cui pro­mosse le prime grandi mani­fe­sta­zioni com­me­mo­ra­tive a Roma, già nel decen­nale della morte), e sul cui pen­siero vitale aveva recen­te­mente anche scritto una dram­ma­tur­gia, andata in scena, Bor­gna col­ti­vava una grande pas­sione per la can­zone popo­lare. In que­sto campo è invece assurto a sto­rico mas­simo del festi­val di San­remo, e di tutto l’ambito musi­cale extra­colto ita­liano. I suoi libri restano impor­tanti, anche sul piano socio­lo­gico, per capire impor­tanza e spes­sore anche delle più vitu­pe­rate can­zo­nette e can­zo­nacce. Amico dei can­tau­tori e dei musi­ci­sti, Bor­gna ha offerto uno stru­mento di let­tura fon­da­men­tale della società ita­liana, e bastano alcuni di quei titoli per con­ser­varne l’immagine e lo spes­sore: Sto­ria della can­zone ita­liana (Mon­da­dori, 1994) e La grande eva­sione. Sto­ria del Festi­val di San Remo — 30 anni di costume ita­liano, (Savelli, 1980).

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