by Sergio Segio | 12 Febbraio 2014 12:30
[1]Quando, a sorpresa per i giornalisti presenti, l’avvocato Giovanni Maria Flick – ex presidente della Corte costituzionale ed ex ministro di Giustizia nel primo governo Prodi – prende la parola di fronte ai giudici della Consulta per sostenere l’incostituzionalità della legge Fini-Giovanardi, l’atmosfera sonnolenta della “Sala delle udienze” svanisce di colpo. L’attenzione è massima, da parte degli ermellini che oggi emetteranno la loro sentenza, per ogni singolo passaggio del loro ex collega nella ricca trattazione giuridica davanti alla quale la difesa dell’avvocatura dello Stato non regge il confronto. Il tema è complesso, ma Flick individua il nodo centrale d’incostituzionalità nell’estraneità, rispetto alla materia originaria, delle norme introdotte dal legislatore nella legge di conversione (art.4–bis e 4 vicies-ter) del decreto sulle Olimpiadi invernali che si svolsero nel 2006 a Torino. Un provvedimento, quest’ultimo, varato in Consiglio dei ministri il 30 dicembre 2005, a un paio di mesi dalle elezioni, che fu il veicolo prima per riparare a un grave errore normativo appena commesso nella legge Cirielli (art.4) sulle misure alternative per i tossicodipendenti, e poi, in sede di conversione, per far passare con il ricorso alla fiducia in zona Cesarini, quel disegno di legge targato Gianfranco Fini e Carlo Giovanardi che giaceva nel cassetto da anni.
«La materia della droga non presentava interconnessione col decreto», argomenta Flick. Che aggiunge: «Sconvolgendo letteralmente la previgente disciplina penale sugli stupefacenti, il legislatore della fase di conversione non si è limitato a “ricomporre” ed eventualmente a “rimodulare” diversamente gli “oggetti” normativi iscritti nel corpo del decreto-legge ma ne ha completamente trasfigurato le sembianze. Ha introdotto – continua – un prodotto normativo completamente nuovo, al di fuori di qualsiasi rispetto dei limiti costituzionali del proprio compito». D’altronde, ricorda l’ex presidente della Consulta, nel 2012 e nel 2013 la Corte aveva già frenato certi «abusi» del legislatore sottolineando – con un’ordinanza e due sentenze – che «l’articolo 77 secondo comma della Costituzione» esclude la «possibilità di inserire nella legge di conversione di un decreto legge emendamenti del tutto estranei all’oggetto e alle finalità del testo originario». «Ove così non fosse – argomenta ancora poco dopo Flick – maggioranza parlamentare e governo potrebbero utilizzare il veicolo rappresentato da qualsiasi situazione che presentasse i caratteri della straordinaria necessità ed urgenza (che comunque, all’evidenza non sono ravvisabili nel caso di specie), per aggiungervi un qualsiasi contenuto normativo».
Una tesi confutata dall’avvocato di Stato, Massimo Giannuzzi, in rappresentanza del presidente del Consiglio, secondo il quale «decreto e legge di conversione avevano nel contrasto alle tossicodipendenze le medesime finalità». È vero, riconosce Giannuzzi, che «l’iter di conversione è sottoposto a vincoli, ed è giusto che la Corte eserciti un sindacato rigoroso su questo aspetto». Ma nel caso specifico, sostiene l’avvocatura dello Stato, visto che «nel dl c’erano norme per il reinserimento dei detenuti tossicodipendenti», la «strategia di contrasto» del legislatore si è poi arricchita durante l’iter di conversione di misure sanzionatorie. E «il dosaggio tra la leva repressiva e quella educativa deriva solo da scelte politiche». Dunque, non giudicabili dalla Consulta, secondo la presidenza del Consiglio. Ma nell’arringa di Giannuzzi risuonano anche i tipici argomenti dell’ex ministro Giovanardi: «La necessità e l’urgenza erano giustificate dall’esigenza di contrasto alla criminalità organizzata». Cosa c’entra la tossicodipendenza? «Parliamo di condotte che costituiscono l’humus del crimine organizzato», puntualizza Giannuzzi. Che non riesce a non aggiungere: «Scelta discutibile, ma solo politicamente». Argomentazioni «non condivisibili» per l’avvocato Flick perché si «confonde l’“oggetto” di diritto sostanziale» (le norme penali sugli stupefacenti) «con il “soggetto” (il condannato tossicodipendente in programma terapeutico)».
Ad di là delle argomentazioni, la decisione del governo di difendere la Fini-Giovanardi davanti alla Consulta, proprio mentre è ormai riconosciuta come legge carcerogena alla base del sovraffollamento, ha generato «sconcerto» nelle comunità di accoglienza della Cnca. E perfino nel Pd: i deputati Anzaldi e Gelli (componente della commissione Affari sociali), hanno chiesto al premier Letta di riferire in Parlamento «le motivazioni della scelta».
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