Fare impresa, missione eroica

by Sergio Segio | 12 Febbraio 2014 12:34

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«Puoi comprare centrifughe e apparecchi cibernetici, e spendere un milione per i muletti senza guidatore. Puoi oliare i nastri che adesso, sotto i miei occhi, trasportano un oceano di pomodori a tripla velocità verso barattoli pronti. Puoi stressare la macchina della produzione, sferzare contadini e trattori, contare la battute al minuto della macchina inscatolatrice come fossero i battiti del tuo cuore. Puoi svegliarti in piena notte col fantasma di un pachino siciliano che ti ruba lo scaffale. Puoi far tutto questo e di più per conquistare il mercato delle massaie e dei ristoratori. Ma se ai primi di settembre piove per due giorni di fila, sei fregato. Bastano pochi millimetri d’acqua e i campi di pomodoro diventano impraticabili: le macchine raccoglitrici s’impantanano, la produzione si ferma…».
È un libro importante, quello d’esordio di Corrado Formigli: Impresa impossibile (Mondadori). Sia perché racconta un’Italia che resiste alla crisi, attraverso storie di imprenditori poco noti al grande pubblico (a parte il primo, Alessi). Sia perché rivela il talento di narratore di un giornalista conosciuto finora per le sue inchieste filmate e per le trasmissioni che conduce. Da ragazzo, racconta Formigli, gli imprenditori non gli erano simpatici. Era un tempo in cui non venivano neppure chiamati così, ma «padroni». L’esperienza e il lavoro sul campo gli hanno insegnato invece che gli imprenditori in Italia combattono una battaglia a volte impossibile contro un sistema fatto apposta per taglieggiarli, contro la finanza dominante, la politica parassitaria, le mafie. Una battaglia in cui sempre più spesso si trovano dalla stessa parte dei loro dipendenti.
Restituiamo quindi la parola a Francesco Mutti, l’imprenditore dell’«oro rosso», vale a dire il pomodoro, che racconta così a Formigli la sua storia e le sue difficoltà: «Hai dieci milioni in cassa. Decidi di investirli nell’azienda. Un minuto prima li avevi in banca e potevi comprarci quello che volevi: una casa, una barca, una fuoriserie. Un minuto dopo quei dieci milioni li hai persi, non hai più nulla. Ci hai comprato dei macchinari costosi fatti su misura per la tua fabbrica e che non potrai rivendere. Hai fatto un atto di amore totale verso il tuo lavoro e il tuo futuro. Ma un futuro lo devi poter vedere, se no quei milioni te li tieni e buonanotte. Per di più il fisco non fa differenza se gli utili li metti sul tuo conto o se li lasci in azienda: una follia».
Francesco Mutti spiega a Formigli il principale motivo per cui oggi fare l’imprenditore è appunto un’«impresa impossibile». Il mondo globale ha costretto quasi tutti i Paesi dell’Occidente — pena la distruzione dei posti di lavoro, esportati nei Paesi dove il costo è molto più basso — a fare politiche per attrarre investimenti. A considerare l’impresa come una fortuna da salvaguardare e da sostenere. L’Italia considera invece l’imprenditore come una preda su cui si accaniscono il fisco e la burocrazia. In questo modo si perdono molte delle straordinarie opportunità su cui può contare un Paese come il nostro. Ci salvano solo le capacità di resistenza e la passione per il lavoro ben fatto, che neppure uno Stato nemico è riuscito a cancellare.
L’autore racconta la storia del «dio della fusoliera», Angelo Petrosillo, l’inventore dell’aereo Blackshape, e del suo socio Vito Pertosa, multiforme imprenditore pugliese. Della stilista «made in Tuscia» Benedetta Bruzziches, che con le sue borse premiate in Inghilterra ha risvegliato l’economia di un borgo di provincia. E di Pietro Parisi, allievo di Ducasse, già chef degli sceicchi a Dubai, che in terra di camorra si è inventato un ristorante, «Era ora», che non si approvvigiona sui cataloghi delle multinazionali del gusto, che portano lo stesso agnello e lo stesso f oie-gras in mezzo mondo, ma alle 5 del mattino al mercato generale di Sarno.
Poi c’è «la storia che mi ha dato più speranza», come la definisce Formigli. Quella di Enrico Loccioni, 64 anni, figlio di contadini, ex elettricista, ex collaudatore delle lavatrici di Merloni, oggi uno dei più importanti imprenditori marchigiani: 360 dipendenti, di cui metà laureati, età media 33 anni, e un sito Internet che definisce la sua attività in termini quasi misterici: «Integriamo idee, persone e tecnologie nello sviluppo di sistemi automatici di misura e controllo, per migliorare la qualità, l’efficienza e la sostenibilità di prodotti, processi ed edifici».
Dopo una visita allo stabilimento di Angeli di Rosora, paesino all’imbocco della Vallesina, provincia di Ancona, Formigli traduce così: «Loccioni è un’azienda che studia soluzioni per altre aziende. Se Mercedes vuole controllare l’efficienza degli impianti di iniezione dei suoi motori common rail , si rivolge all’azienda marchigiana, leader mondiale del settore. Se Magneti Marelli vuole collaudare l’inverter del suo impianto Kers montato sulla Ferrari Formula 1, si affida a loro. Ovviamente qui si fa anche molto altro, dai robot ai sistemi ecologici per case a emissioni zero…».
La speranza nasce proprio dalla scoperta di un’Italia che non si lamenta, ma si rilancia, che non taglia, ma aumenta gli investimenti, che non risparmia sulla qualità, ma assume i migliori talenti, che non premia i mediocri in nome della pace sociale, ma valorizza le eccellenze.

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