Corruzione, peso da 60 miliardi Il rapporto europeo. In Italia penalizzate 4 aziende su 20
MILANO — «La nomina dei tre Amministratori nazionali di sistema è stata sospesa per la necessità di garantire, in una fase di forte transizione tecnologica, il necessario bagaglio di conoscenze»: così il 17 luglio 2013 il Csm aveva recepito la spiegazione fornita dal ministero della Giustizia circa la mancata nomina delle figure gerarchiche autorizzate ad avere tutti i privilegi di accesso alla rete informatica giudiziaria della costruenda Active Directory Nazionale , e di ciò responsabili nei confronti del servizio giurisdizionale.
Ma adesso nei documenti ministeriali spunta, tutta diversa, la vera ragione: e cioè che «nel mese di giugno» (quindi prima dell’asettica rappresentazione al Csm di problemi tecnici) «uno dei tre Amministratori nazionali individuati», cioè uno dei candidati quasi nominati, è «stato arrestato con l’accusa di corruzione e turbativa d’asta» perché colto dalla Procura di Roma a chiedere l’8% di tangente sulle forniture, «e pertanto questo è il motivo delle mancate nomine».
È ora un carteggio riservato tra alcuni uffici giudiziari e il ministero, approdato al Csm, a documentare non solo questa sorpresa, ma anche il fatto che dall’1 febbraio la sicurezza informatica dei dati giudiziari sia di fatto affidata al raggruppamento di società private (Telecom capofila, Selex Es di Finmeccanica, Sirfin, TopNetwork e Progesi) che, in forza di un contratto da 96 milioni di euro con il ministero, fornirà a Tribunali e Procura l’assistenza informatica da remoto (cioè in connessione a distanza tra la macchina operante e quella operata), con contestuale riduzione dei tecnici ministeriali interdistrettuali (CISIA) che sino a oggi operavano fisicamente in loco.
Dagli atti si ricava infatti che, quando un tecnico di una società esterna interviene da remoto sul computer di un magistrato, esiste sì la garanzia che l’operatore venga identificato da un file di log e che il suo intervento sia videoripreso da una telecamera, ma queste due precauzioni — sufficienti per il ministero a scongiurare contestuali intrusioni nei segreti giudiziari custoditi nei computer — in concreto garantiscono poco: perché sia il file di log sia il filmato vengono conservati non su macchine del ministero della Giustizia, ma su macchine di pertinenza e sotto il controllo delle stesse società private esterne, i cui amministratori di sistema in teoria potrebbero alterarli o cancellarli.
In un faccia a faccia con i capi degli uffici giudiziari lombardi, l’ingegnere che dentro la «Direzione generale sistemi informativi automatizzati» del ministero (DGSIA) ha la responsabilità dei sistemi di rete, Francesco Baldoni, ha confermato che i server, pur all’interno della rete Giustizia, sono «in affidamento su macchine dello stesso fornitore che — aggiunge — ha peraltro in mano i registri penali nei circondari».
Il ministero contempla che in futuro si possano trasferire questi file di log e video sotto il proprio controllo, e che si vada anche verso «la separazione dei dati giurisdizionali da quelli relativi alla mera manutenzione della postazione di lavoro»: ma questi impegni «per il futuro» non tranquillizzano il presente dei capi degli uffici giudiziari. Specie dopo la scoperta che, senza l’arresto l’estate scorsa, quel funzionario ministeriale sarebbe stato nominato fra i tre «Amministratori nazionali di sistema».
Il distretto della Corte d’appello di Milano, in un quesito al Csm, pone peraltro il problema del calo di prestazioni (efficienza e tempestività) che l’assistenza da remoto avrebbe già determinato, secondo quanto sperimentato nei 3.600 interventi battistrada da novembre 2013 in Italia. Le carenze e i ritardi, segnalati al ministero già un anno fa, non devono infatti essere migliorati se in una recente riunione a Milano, capitale del tanto pubblicizzato Processo civile telematico, è stato lamentato come «inammissibile» il fatto che «giudici civili con un problema ai computer debbano aspettare 8 giorni per avere la risposta di intervento nei tempi contrattuali oggi previsti».
Documenti ministeriali ora ammettono «l’inadeguatezza della scelta contrattuale», che sembra orfana: l’attuale direttore generale DGSIA rimarca infatti di aver consegnato al ministro Cancellieri un appunto sull’opportunità di fare marcia indietro con le esternalizzazioni e di riportare all’interno del ministero i servizi di assistenza informatica; e parla esplicitamente dell’«ampia esternalizzazione» e della remotizzazione come di «un sistema deciso dal predecessore in considerazione della riduzione dei fondi e dei vincoli di bilancio». Molti guai sono fatti risalire all’iniziale scelta di affidare a Consip (la centrale acquisti della Pubblica amministrazione) la stesura di un capitolato di gara talmente incauto da nemmeno consentire ora di far pagare qualche penale alle società private per i loro disservizi. Inadempienze di cui è in ritardo persino il monitoraggio, perché la DGSIA lamenta di aver dovuto aspettare dal ministero dell’Economia ben 8 mesi per il via libera alla spesa per la società incaricata ora di verificare il rispetto del contratto stipulato per risparmiare in teoria 43 milioni rispetto al 2008.
Luigi Ferrarella
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